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Giacchè, la promessa antica di Casale Cento Corvi.

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Giacché cong. [comp. di già e che]. – Ha valore causale ed è in genere sinon. di poiché, dal momento che; si adopera specialmente quando la proposizione causale esprime un fatto reale che è insieme la cagione e la condizione di quanto è detto nella prop. reggente. Bene, finita la lezione di grammatica, cambiamo accento e parliamo di… vino!

L’alta tecnologia esercitata in vigna prima e in cantina poi, in un Lazio del vino dove, almeno fino a qualche anno fa, il dominio incontrastato e l’unica prospettiva di smercio delle uve erano le cantine sociali, ha ingenerato una triste intesa di rese per ettaro forzate al quantitativo estremo e basate su nutrimenti chimici e impianti di vitigni “migliorativi-riempi-botti”. La distrazione tra gli addetti del settore, che spesso è sfociata in uno snobismo di cui io per primo sono l’epitome, è stata quasi una conseguenza sana e auto-difensiva. Ma ora che sto sul ponte che varca inesorabilmente gli “anta”, cerco espiazione facendo autodafé.

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“Autodafé in Plaza Mayor a Madrid” di Francisco Rizi (1683) Museo del Prado

Casale Cento Corvi è un’azienda che nasce a Caere, antica designazione di Cerveteri, in quella provincia di Roma che ha probabilmente subito le stesse istruzioni malsane riservate ad altre aziende vinicole del Lazio. Eppure sembra che gli agevoli espedienti basati sul tanto, veloce e facile, non abbiano esercitato molto fascino su Costantino e Giorgia Collacciani, la nuova generazione che guida le redini dell’azienda laziale. Loro hanno preferito utilizzare, come antidoto all’emarginazione data da questa prospettiva industriale organizzata sulla proliferazione di un gusto appiattito, quella sacra cosa che è l’agricoltura biodinamica, pur mantenendo una laicità tecnica in cantina che spesso non trova spazio tra le schiere dei “produttori naturali”.

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Entrata a Casale Cento Corvi. Photo: Raffaele Marini

Giacchè, la promessa antica di Casale Cento Corvi

Azienda variegata Casale Cento Corvi. Con i suoi 35 ettari vitati provvede ad 11 vitigni, da cui traggono origine 12 vini, tutti dal carattere sicuramente originale. Ma una particolare nota di merito deve essere conservata per il Trebbiano “Lo Scordato”, da un antico clone laziale e per la Malvasia puntinata, anche quest’ultima dimenticata in queste terre, dopo l’arrivo altamente produttivo della Malvasia di Candia. L’organizzazione della visita in azienda è a firma Carlo Zucchetti e team; lo scopo principe una verticale di 11 – che poi diverranno 12 – annate di Giacchè o Ciambrusca, vitigno questo che sembrerebbe figlio primordiale di queste terre già da epoca etrusca, probabilmente clone acclimatato del Lambrusco. La verticale è all’interno di Palazzo Ruspoli a Cerveteri, a ridosso del Museo che ospita i reperti di uno dei siti archeologici più grandi in Europa, quello di Cervetri appunto.

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Lo Scordato Gran Cru, eccellenza di casale Cento Corvi. Photo: Tamara Gori

L’annata che farà da starter è la 2003 e il traguardo sarà un inatteso campione di botte 2015. Il Giacché si presenta vestito di uno scuro ermetico e monolitico. È proprio questo colore che lo rese famigerato tra le casalinghe locali, alle quali lasciava in rimembranza la sua firma indelebile su tovagliati e vestiari, con cui erroneamente entrava in contatto. Al naso le note balsamiche lasciano intravedere una freschezza che il colore fuorviante tende a celare. In bocca stupisce ancor di più, con un’estetica basata sui chiaro-scuri e su sensazioni dure, lontane dalla congettura immaginaria che la corazzata veste visiva aveva fatto prospettare. E’ di estremo interesse il 2003: caldo e profondo, con uno spettro olfattivo mentolato – che ha segnato il profilo di questa verticale- e profondamente viscerale, dalle note di china e caffè, che anticipano un ritorno a radici di liquirizia e rabarbaro, che si aprono in successione. Quasi un Unicum.

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Giacchè in verticale: dal 2003 al 2012… Photo: Tamara Gori

Il 2004, 2005 e 2006 ci sono sembrati il rodaggio prima di entrare in pista, in un crescendo sfaccettato e lineare. Con estrema franchezza dico che acquisterei senza esitare le annate 2003, 2007, 2008 e la 2012. Il campione di botte del 2015, ancora in stato embrionale, ci ha testimoniato una spremuta di melograno e alchermes, facendoci capire chiaramente la difficoltà ad addomesticare questo purosangue selvatico. Oltre alla prospettiva qualitativa in termini vitivinicoli che donano a questa terra, a Costantino -che si occupa dell’allevamento in vigna- e a Giorgia -ormai unica enologa della cantina, erede dell’imprimatur di Angelo Giovannini- va riconosciuta la capacità di visione d’insieme.

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Giacchè del futuro: il colore intenso del campione 2015. Photo: Raffaele Marini

La loro prospettiva è quel sano saper fare sistema con il territorio, l’archeologia e le aziende di qualità di questa parte del Lazio; una visione avveniristica, in una terra dove l’individualità si è da sempre mossa come atomo impazzito a sé stante! Giacché sembra oggi una promessa che sarà mantenuta.

di Raffaele Marini


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