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Gragnano: l'insuperabile piccolo vino.

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Gragnano: è “l’insuperabile piccolo vino”, per dirla alla Mario Soldati, che già negli anni ’40 aveva difficoltà a reperire un Gragnano vero. Ospitato dai Monti Lattari, Gragnano paese ma anche luogo vinicolo, era già conosciuto come insediamento agricolo fin dall’anno 89 a.C. e un secolo più tardi fu approdo di quegli esodati che nel 79 d.C. furono cacciati da Pompei, Ercolano e Stabiae dalla memorabile eruzione del Vesuvio. Con il Monte Faito a fargli da retroguardia, abbracciato tra il Golfo di Napoli e la Costiera sorrentina, Gragnano è sinonimo di pasta artigianale: la memoria corre subito ai maccheroni, come quelli stretti nella mano rappresentata nello stemma del Comune.

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Il Golfo di Napoli visto dai Monti Lattari

Ma l’aria marina, le altitudini fino a 500 metri e i terreni vulcanici, non potevano non ospitare le vigne che hanno generato uno dei vini divenuti più famosi nella storia: ne parlava già Plinio il Vecchio nel volume XIV della sua Naturalis Historia; nel 1500 monsignor Molinari attribuisce al vino di Gragnano proprietà taumaturgiche, coniando il celebre detto: “ Vivere vis sanus, Graniani pocula bibe ” (Se vuoi vivere sano, bevi tazze di Gragnano). La viticoltura è cosi importante qui che quando la cattedrale di Lettere diviene diocesi, gli viene attribuito il nome di S. Maria delle Vigne. Ma la vera ascesa agli annali enologici, però, avviene quando Napoleone nomina Gioacchino Murat re di Napoli; è quest’ultimo infatti a portare a Gragnano i tecnici di enologia e viticoltura direttamente dalla Francia. E da quel momento il vino di questo piccolo comune diviene ben presto riferimento ed eccellenza per tutta Napoli.

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Gioacchino Murat, nominato re di Napoli nel 1808

Gragnano: l’insuperabile piccolo vino

Eppure ad oggi è nascosto, quasi introvabile e destinato ad un consumo quasi esclusivamente locale, vista l’esigua quantità prodotta. Il vino, o meglio il Vino Gragnano, (frizzante naturale…sia chiaro!) è stato definito da qualcuno il fratello meno noto, o non noto, del Lambrusco. Se non fosse per almeno un paio di motivi tangibili: il primo è l’imponenza del corpo che questo vino ha; il secondo è che il Gragnano rifugge dall’industrializzazione come pochi altri vini al mondo; citando il Gigante del 1845: “Gragnano… è vocabolo che significa dolce e di vitigno non artificiale”. L’artigianalità qui non è una scelta bensì un obbligo: i terrazzamenti su cui nascono i sesti d’impianto ostracizzano l’uso delle macchine; qui l’arnese più tecnologico concesso sono le zappe e la macchina più utilizzata l’uomo; se non è viticoltura eroica è almeno coraggiosa e sicuramente molto faticosa.

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Zero internazionali nel Gragnano, zero moda! Gli uvaggi autoctoni tradizionalmente usati sono lo Jacullilo, la Palombina, Del Gelse, Tintore, Castagnara e un tempo anche l’ormai estinta uva Mangiaguerra (un nome che ci piace tanto!). Ad oggi la prevalenza di uvaggio è di Piedirosso, vino vulcanico caldo e potente, lo Sciascinoso e il Barolo del sud, L’Aglianico, proprio quello che dà vita al grande rosso del Vulture e al verace Taurasi; insomma, l’austera potenza del Sud. Eppure questi vitigni, destinati solitamente a divenire grandi vini, qui vedono la loro costituzione potente celata dalla carbonica, che gli dona forma leggiadra e una profonda spalla acida. Chiacchiera con semplicità popolare ma per nulla stupida il Gragnano: al naso racconta di frutti rossi croccanti, iodio ed erbe meditaranee; la sua beva è succosa, a volte densa, aggraziata da una bollicina tenue ed evanescente; l’acidità marina lo rende irresistibile a tutto pasto: è consuetudine vederlo accompagnare una pizza Margherita Dop!

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Ma è affidabile anche sugli insaccati, dove la morbidezza fa da contrasto alla sensazioni sapide e speziate. Il Gragnano si confronta egregiamente anche con cibi grassi, come salsicce e friariélli,  dove mantiene il palato pulito con lusinghiera fragranza; nelle versioni dall’acidità più tesa serve magistralmente l’anguilla o uno stinco al forno; il rituale lo vuole per la tradizionale colazione di Pasqua, accanto al corrispondente Casatiello ‘nsugna e pepe.
E se valgono i suggerimenti, sono sicuramente da provare sugli altri, il Gragnano Iovine, quello dell’azienda IV Miglio, Borgo Sanna e Grotta del Sole.
E’ pauperista il vino di Gragnano, soprattutto vista la faticosa produzione, ma se non credete a me potete sempre dare ascolto a loro:

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Pasquale (Totò) e Felice (Enzo Turco) nell’insuperabile “Miseria e Nobiltà

Pasquale: “Poi ti fai dare anche due Lire di resto dallo Scharcoutier e vai dal vinaio all’angolo, e dici: qua mi manda Don Pasquale il fotografo, e ti fai dare due litri di Gragnano frizzante.  Assicurati che sia Gragnano! Tu te lo fai versare, lo assaggi e se è Gragnano lo pigli, sennò desisti”.
Felice: “Desisto sempre, io! “.
(Totò e Enzo Turco in “Miseria e Nobiltà”)

di Raffaele Marini


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