Geniale.
Benito Jacovitti, maestro del fumetto italiano e artista dell’immaginario non può essere definito diversamente.
Conservatore per cultura e vocazione, estremista di centro come gli piaceva definirsi, con uno sguardo attento e irriverente sul mondo che lo circonda e sull’Italia che cambia, Jacovitti innova profondamente il panorama della letteratura disegnata e crea un immaginario dove storie e personaggi surreali e onirici si riversano in una cosmogonia popolata di oggetti animati, salumi parlanti, lische di pesce e mezzi cavalli, e dove grottesco, sarcasmo, ironia e dissacrazione si combinano in una miscela creativa e non conforme, distante anni luce, oggi come allora, dal politicamente corretto.
Jacovitti, maestro del fumetto italiano e artista dell’immaginario
Appena sedicenne, Jacovitti trova la strada dell’ironia pubblicando vignette su una rivista
umoristica fiorentina, Il brivido, e subito dopo, nel 1940, inizia a collaborare con il Vittorioso in un percorso di vita che proseguirà per trenta anni.
Personaggi caricaturali e fantastici prendono vita dalla sua matita e iniziano a segnare
l’immaginario delle generazioni che hanno attraversato ricostruzione, boom economico, austerity fino ad addentrarsi nell’ottimismo rampante degli anni ottanta e sconfinare nel riflusso politico; la rivisitazione parodistica di grandi classici come Pinocchio e Il Corsaro Nero sino ad arrivare al Kamasutra, pubblicato nel 1977 e che manderà in crisi la sua storica collaborazione con l’editoria cattolica, si accompagna con idee originali e di grande successo come, tra le innumerevoli, il Diaro Vitt, amico intimo e fedele di milioni di studenti tra il 1949 e il 1980, e Cocco Bill, il pistolero che al saloon non beve wisky ma camomilla.
La creatività di Jacovitti, le forme eclettiche e la versatilità dei suoi personaggi, non sfuggono a lungo alla pubblicità.
Nel 1957 Jac disegna per un concorso a premi della Nestlè, nel 1958 inizia a illustrare copertine per il giornalino Esso Junior, nel 1959 inventa Pasqualino e la Vespa per la Piaggio, nel 1960 disegna Pecor Bill per promuovere il Thermocappotto della Lanerossi Vicenza, nel 1961 i suoi salumi sono perfetti per un menù promozionale della Negroni, disegna poi ben nove serie di figurine animate per il Formaggino Mio della Locatelli dando vita a personaggi come Gatto Maramio e Mac Sombrero, nel 1969 Zorry Kid è protagonista del Carosello di Olio Teodora e si scaglia contro una paventata tassa sulla vecchiaia, per altri versi oggi forse più attuale che mai, ma che allora metteva una freccia all’arco di chi non amava l’incedere di un giovanilismo diventato valore a se stante, nobilitato dalle
rivendicazioni studentesche ma già cantato in versione leggera da Catherine Spaak nel 1964 con L’esercito del surf.
L’estetica di Jacovitti segna quindi in profondità il linguaggio pubblicitario, precorre e riflette la modernità dei suoi anni, e tra i tanti spunti che questo connubio offre, uno in particolare si presta alle suggestioni di cui vogliamo raccontare: Cocco Bill, il cowboy del fantasmagorico universo jacovittiano che, forse più di tutti gli altri, riflette caratteri e passioni del suo creatore.
Cocco Bill, il cowboy del fantasmagorico universo di Jacovitti
Cocco Bill esordisce nel 1957 su il Giorno dei Ragazzi, supplemento che il quotidiano edito
dall’ENI di Enrico Mattei – dimostrando vedute straordinariamente ampie e indipendenti rispetto all’allora milieau culturale che vedeva nel fumetto un sottoprodotto quasi deleterio – faceva uscire ogni giovedì, con avventure disegnate che facevano sognare i figli e rilassavano i padri.
Jacovitti, profondamente innamorato dell’epopea della frontiera di cui collezionava persino le armi diventate leggenda, nel caratterizzare Cocco Bill ricorre a tutti gli elementi dell’immaginario del selvaggio west che, non dobbiamo dimenticare, a quel tempo è narrazione di punta di una produzione hollywoodiana che riversa decine di titoli nelle sale cinematografiche di un’Italia che, in gran parte, guardava all’America con gli occhi di Nando Mericoni, l’americano a Roma a cui Alberto Sordi ha consegnato una maschera indelebile.
Cocco Bill nasce quindi alle soglie del boom economico, lo attraversa riscuotendo un successo strepitoso e con la regia dei fratelli Pagot, altri maestri dell’immaginario, arriva nel pantheon pubblicitario di Carosello nel 1965, in coincidenza con la prima crisi congiunturale italiana, avvisaglia di uno scenario che da lì a poco cambierà il mondo e i modi di pensare, di agire e di consumare.
Sono anni in cui accade di tutto.
I grandi fermenti che avevano covato a lungo nella controcultura beat e hippy e che avevano trovato una saldatura ideologica nel movimento di protesta americano – sono gli anni della guerra in Vietnam e delle black panthers – attraversano l’oceano, sbarcano in Francia e arrivano in Italia.
Le occupazioni universitarie prendono piede nell’autunno del 1967, in maniera convenzionale l’inizio del ’68 in Italia viene fatto risalire alla battaglia di Valle Giulia, dove il primo marzo studenti universitari di destra e di sinistra si scontrano con la polizia nel tentativo di rioccupare la Facoltà di Architettura appena sgomberata, ma è il maggio del 68 che segna il passaggio ideale in Francia e in Italia del testimone di Berkeley, l’università della Bay Area di San Francisco da dove aveva preso corpo l’affermazione dei giovani come soggetto politico condizionante e autoreferenziale.
Moreno el gelato revolusionario – Jacovitti
Ebbene, in questo mondo trepidante e colmo di speranze ancora non diluite nelle cocenti delusioni che ne seguiranno, il nostro Cocco Bill, paladino della legge e dell’ordine, ironico e dissacrante pistolero dai modi spicci e dalla pistola facile, nemico giurato dell’ingiustizia, trova una sua straordinaria attualità da protagonista delle campagne pubblicitarie per i gelati della Eldorado, già Toseroni, azienda con nome e radici italianissime, ma sin dal 1967 acquisita dalla multinazionale Unilever.
Oltre al Carosello iniziato nel 1965, dal 1968 al 1972 Cocco Bill accompagnerà tutte le campagne pubblicitarie dei gelati Eldorado – dal Camillino a Toffy sino al Fiordifragola, dal Magic Cola al Lemonissimo – e ne trainerà il successo, ma quello che accade con il Moreno poteva accadere solo nel 1968.
Moreno, croccante cioccolato con anima di panna e, a scelta, cuore di gianduia, cioccolato o
pistacchio, non è un gelato qualunque: Moreno è el gelato revolusionario e poteva esserlo solo nel 1968.
In linea con i tempi, con una rivoluzione che sembrava bussare alle porte, Cocco Bill diventa interprete di una giustizia sociale da cui non può mancare anche un gelato a basso costo – solo 50 lire come evidenzia la pubblicità – e quindi democraticamente alla portata di tutti.
Viva Moreno è lo slogan fortunato nel quale riecheggia la memoria, se non storica quantomeno cinematografica, del Viva Zapata di Elia Kazan, film vecchio di 16 anni, ma il cui ricordo si è andato a sovrapporre con il travaglio che in quegli anni tormenta l’Americana Latina perennemente in bilico tra golpe e rivoluzioni, le cui vicende cubane e l’avventura boliviana a brutto fine di Che Guevara hanno avuto enorme presa mediatica sull’opinione pubblica.
Ed è così che mentre l’estate italiana scorre in un’apparente normalità tra le Olimpiadi di Città del Messico e i tuffi medagliati di Klaus Dibiasi, i musicarelli con Gianni Morandi e Little Tony, i juke box che rilanciano Azzurro di Adriano Celentano, Luglio di Riccardo del Turco, La Bambola di Patty Pravo o Balla Linda di Lucio Battisti, mogli in vacanza e mariti in città, fabbriche serrate, negozi chiusi e file interminabili ai caselli autostradali per l’esodo d’agosto, la pubblicità di Moreno el gelato revolusionario rompe gli schemi e adotta un linguaggio che vive il suo tempo e traduce suggestioni che portano lontano.
Ancora una volta Benito Jacovitti, molisano di mare nato a Termoli, uomo libero e fuori
dall’ordinario, Jac o Lisca di Pesce come gli piaceva farsi chiamare nella probabile rincorsa alla memoria di una sua giovanile magrezza, ma che potrebbe essere anche un nome perfetto per un indiano dei Grandi Laghi, sorprende e gioca una partita tutta sua che vince battendo il tempo e il passare degli anni.
È lunga l’estate del 1968, lunga come lo erano tutte le estati che finivano solo il primo ottobre con la riapertura delle scuole.
L’estate del 1968 però è stata forse un po’ più lunga, perché sicuramente il 21 dicembre, quando nelle sale cinematografiche irrompe Sergio Leone con C’era una volta il west, qualcuno avrà sorriso ripensando a Cocco Bill e al suo gelato revolusionario.
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