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Santi legumi, quanta carne mi date!

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Magari questa è la volta buona. La FAO (Organizzazione per l’Agricoltura e il Cibo delle Nazioni Unite) ha decretato il 2016 come l’anno internazionale dei legumi, auspicando che entro il 2020 almeno il 20% delle proteine assunte dall’uomo sia di origine vegetale.

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2016 Anno Internazionale dei legumi, promosso dalla FAO. Credit photo: Magazine delle Donne

Ora. Partiamo dall’assunto per cui ognuno mangia ciò che vuole e lungi da me essere oltranzista contro chi mangia carne. Ma il dubbio su quanto libera e indipendente sia la nostra alimentazione è molto profondo. Non so ad esempio quanti di noi abbiano la possibilità di allevare da sé animali da cortile da destinare ad un’alimentazione sana, equilibrata e sotto i dettami della più pura dieta mediterranea.

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La carne bovina è percepita dagli anni Sessanta come alimento di lusso. Credit photo: Magazine delle donne.

Ma stando ai dati FAO e Assocarne non credo che i 78 chili di carne pro capite consumati in Italia nel 2014 siano passati tutti sotto l’occhio vigile e imperturbabile di attenti consumatori. Anzi. La carne continua ad essere percepita come alimento di lusso, da sempre legata a periodi di congiuntura economica positiva e di disponibilità di denaro; non è un caso che il boom dei suoi consumi coincida con gli anni 60 del Dopoguerra, in cui si registrò un’impennata nella vendita di carne bovina e con gli anni 80 per quella suina.

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L’impennata nel consumo di carne suina si è registrato con il boom economico degli anni Ottanta.

Santi legumi, quanta carne mi date!

Neanche l’attuale crisi economica, la peggiore che il nostro Paese abbia mai conosciuto, ha dato una svolta nei consumi di carne, puntando sul petto di pollo come proteina salva-crisi. E di certo l’aggettivazione di legumi come “carne dei poveri”, almeno nel nostro immaginario, non contribuisce a dare una sferzata all’impiego della nostra spesa quotidiana; perché quello che spaventa la nostra società più di ogni altra cosa è l’accostamento alla povertà. A questo non contribuiscono i media e la loro informazione disinformata e disinformante. Perché nel proliferare a iosa di programmi, talent e tutorial dedicati alla cucina, non ne esiste uno in cui la carne non abbia un ruolo preminente nella preparazione di piatti di qualunque foggia.

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Solo alcuni dei più grandi vegetariani o vegani della storia, ma la lista è davvero infinita.

Perché un pasto non è pasto se non c’è carne. Perché se vuoi crescere robusto e forte devi mangiare carne. Perché se hai carenze di ferro lo puoi intergrare solo mangiando carne. Perché se vuoi fare sport, puntando anche solo minimamente a risultati lontani dal recordman-lanciatore-di-coriandoli, non puoi che ingozzarti di vivida carne rossa, magistralmente colorata a mano. Ma insomma, anche no! Perché poi vieni a sapere che Carl Lewis era vegano, così come vegetariano era Leroy Burrel, lo sprinter con cui si è palleggiato per anni i record di velocità. Ma ancora Keith Holmes, campione mondiale per la categoria pesi medi, vegano. Martina Navratilova storica tennista,o ancora Edwin Moses.

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Nelle Olimpiadi di Los Angeles del 1984 Carl Lewis, il vegano “figlio del vento”, vinse ben 4 ori olimpici.

Einstein era vegetariano e con lui altre menti eccelse dello scibile umano nel corso dei secoli: da Pitagora, considerato il primo vegetariano della storia, a Eraclito; da Ovidio a Empedocle, Plutarco, Leonardo. Tutti antesignani dell’antispecismo, secondo cui il mondo non è antropocentrico e l’uomo non è specie superiore ad altre specie. Insomma, il vegetarianesimo non è certo figlio di una moda nustrizionista-eco-salutista degli ultimi tempi, se pensiamo che il primo sciopero nella storia dell’umanità fu quello delle legioni romane di stanza in Gallia. Ebbene sì, i corpulenti Centurioni di Cesare erano vegetariani.

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La Decima Legio di Giulio Cesare, i fedelissimi dell’Impero, vivevano di una dieta pressoché vegetariana.

Svetonio, cronista di Giulio Cesare, narra della protesta della Decima Legio che, costretta a “nutrirsi con la pessima carne, che puzza e fa ammalare i soldati..”, incrociò braccia e armi, rifiutandosi di combattere finché non fossero arrivati da Roma farro, avena, fagioli, lenticchie e orzo. Santi legumi! Tanto raccomandati da Galeno, medico greco padre della medicina antica e curatore egli stesso dei gladiatori romani. E dai recenti scavi nella città turca di Efeso ad opera del gruppo di studiosi del professor Karl Grosschmidt, dell’Istituto di Istologia ed Embriologia della facolta’ di Medicina dell’Universita’ di Vienna, avanzando ipotesi sullo studio di 70 scheletri risalenti a Centurioni romani, si certifica come l’alta percentuale di stronzio presente nelle loro ossa, a discapito di quella di zinco (legata all’assunzione di legumi la prima, di carne la seconda), conferma la dieta prettamente vegetariana degli antichi romani.

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Ippocrate (destra) e Galeno (sinistra), raffigurati in un affresco nella Cripta della Cattedrale di Anagni (FR)

Non solo. Sembra che i legumi siano uno dei principali motivi per cui i Romani riuscirono nelle loro conquiste, meno oberati dall’impegno di cacciare per potersi alimentare durante le loro spedizioni, con carichi leggeri da trasportare e meno sottoposti al deterioramento della carne come accadeva per molti dei loro avversari. E finalmente oggi anche la FAO sembra puntare sui legumi come preziosi alleati: non solo per riequilibrare le due facce distorte nella medaglia dell’alimentazione mondiale -la malnutrizione da un lato e l’escalation di obesità dall’altra-, ma scegliendo forzatamente la via dell’ecosostenibilità e l’abbattimento di fitosanitari e sistemici utilizzati in agricoltura.

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L’inaridimento della terra è una delle problematiche a cui la Fao auspica di far fronte puntando sui legumi

La capacità dei legumi di fissare l’azoto atmosferico e trasformarlo in sostanze azotate infatti, riduce, se non addirittura elimina, la necessità per le leguminose di richiedere l’uso di composti chimici per far fronte agli attacchi batterici o per incrementare la fertilità del suolo. Non a caso infatti, nelle cosiddette colture “naturali”, la rotazione e la pratica del sovescio utilizzando leguminose, sono alla base del ripristino produttivo del terreno. Ma è un altro il dato che ci sconcerta. Sapete quanta acqua occorre per produrre un chilo di lenticchie o piselli? Appena 50 litri. Sapete quanta ne richiede la produzione di un chilo di carne di pollo o di manzo? 4325 la prima; 13000 litri di acqua la seconda!

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La Piramide Alimentare a sinistra e quella invertita sulla base dell’impronta ecologica a destra. Photo: Sport 100

È facile calcolare a quanto ammonta l’impronta idrica per nutrirci di carne ogni giorno di ogni singolo anno per ogni persona che vive nel mondo cosiddetto sviluppato. Acqua e terreno per allevamenti intensivi, sottratti alle colture di leguminose, in grado da secoli, con la loro incredibile fonte di fibre, la povertà in grassi e la ricchezza di aminoacidi nobili, di permettere la sopravvivenza di intere popolazioni nel mondo. Popolazioni longeve, che non conoscono malattie endemiche come il diabete o il colesterolo che caratterizzano le nostre società lussuose e carnivore.

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La Roveja, antico legume tutelato come Presidio Slow Food a Civita di Cascia, Umbria

Lenticchie, ceci, roveja, cicerchie, fagioli e mille altre specie che possono arricchire la nostra dieta e la nostra salute e che festeggeremo nel corso di questo anno, attraverso articoli che raccontino delle modalità di uso, di cottura, delle caratteristiche nutritive e delle tipicità territoriali. Magari questa è la volta buona.
di Tamara Gori


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