Stocco di Mammola, piatto povero della grande tradizione calabrese
Stocco, un nome poco conosciuto. Mammola, un paese arrampicato sulle montagne della Locride, in una Calabria così stretta che la montagna ha già il sentore salino del mare, in questo caso quello del versante ionico. Palazzi nobiliari, un centro storico medievale, l’impronta religiosa di tante chiese antiche. Ma ciò ha sancito la fama di questo tipico borgo italiano è il legame strettissimo con un alimento che ne è diventato l’emblema: lo Stocco di Mammola, appunto!
Nel meridione d’Italia è il nome con cui si indica il Pescestocco o Stoccafisso, pregiato merluzzo del Nord Europa, accuratamente selezionato ed essiccato su impalcature di legno al sole e alla gelida aria dell’artico. Solo dopo questo affinamento viene destinato all’esportazione. È dal Nord Europa che arriva a Mammola e in tutta la Calabria, con un percorso obbligato che nei secoli è divenuto tradizione. Le prime testimonianze infatti, arrivano fino al 1561, quando lo stocco arriva per la prima volta dal Mar Baltico e viene usato come merce di scambio. Approdava al porto di Napoli, allora capitale del Regno delle Due Sicilie, e da lì i battelli dei commercianti calabresi lo trasportavano fino a Pizzo Calabro. Una volta sulle banchine del porticciolo, veniva caricato sul dorso dei muli e risaliva le mulattiere delle montagne fino a Mammola.
Stocco di Mammola: la storia
Il motivo per cui ha attecchito così bene da diventare l’emblema storico di intere comunità calabresi? Probabilmente l’acqua delle montagne! Le caratteristiche di purezza delle sorgenti montane appenniniche dell’Aspromonte-Serre di Mammola, che mantengono una particolare composizione chimico-fisica e una ricchezza di sostanze oligominerali, combinandosi tra loro, determinano una perfetta maturazione dello “Stocco” in ammollo, esaltandone le qualità, ed ottenendo così un prodotto bianco, grosso e molto saporito. Lo sapevano già nel 1700, momento cui si fanno risalire le prime ricette con lo stocco e la caratterizzazione di artigianalità della sua lavorazione. Tutti questi ingredienti sono rimasti anche oggi, ad esaltare una popolarità di piatti e di usi che è arrivata anche all’estero.
Stocco di Mammola, piatto povero della grande tradizione calabrese
La tradizione infatti vuole che lo stocco si mangi per la Vigilia di Natale e di Pasqua, ma anche che venga donato a tutti i calabresi emigrati fuori dalla terra natìa nel corso degli anni e che tornano almeno una volta l’anno in Patria. Sarà per questo che la sagra dello Stocco si tiene a Mammola ogni 9 del mese di Agosto, un segno di folklore non solo culinario, ma anche una festa di accoglienza per i Calabresi e i vicini Siciliani che tornano a respirare l’aria di casa. Durante la sagra lo Stocco viene servito nelle ricette più disparate, dai ravioli allo stocco, allo stocco con le patate o fritto; ma la regina della festa è sicuramente lo Stocco alla Mammolese, preparato con salsa di pomodoro, olive, patate e naturalmente peperoncino, servito nei caratteristici tianeji, tegami di terracotta.
È l’unico piatto di pesce che regge l’accompagnamento con un buon vino rosso locale, generalmente il Cirò. Piatto povero per antonomasia, dava vigore al lavoro dei contadini in montagna e si diceva avesse proprietà eccellenti per le puerpere che dovevano produrre latte. Oggi è esportato in tutto il mondo e tutelato dal Consorzio dello Stocco di Mammola Alagna e Spanò, riconosciuto come piatto principe della dieta mediterranea.
di Tamara Gori