Alimentazione correttaL'olio italiano

L’olio italiano

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L’olio extravergine di oliva 100% italiano è a rischio estinzione: hanno denunciato tutte le associazioni dei produttori fin dal 2016. Con i fondi del recovery plan si può concretamente realizzare una inversione di tendenza: i mutamenti climatici così come la xilella, rischiano di produrre un mutamento nella coltivazione dell’olivo sino a determinarne in alcune zone la scomparsa, è necessario quindi porsi l’obiettivo di creare nuovi insediamenti intensivi. La crisi non è soltanto agricola ed economica ma culturale e di identità nazionale. Ne consegue che il mondo dell’olio, di fronte all’aggressione di capitali cinesi, inglesi, spagnoli e francesi, deve chiedere al governo di destinare risorse significative per incentivare gli imprenditori italiani e i fondi di private equity ad investire in olivicoltura e nella produzione dell’olio italiano e al tempo stesso disporre stanziamenti per la tutela degli antichi uliveti in quanto patrimonio ambientale.

Servono alberi, tanti, tantissimi ulivi e subito. Ma ancora una volta il passaggio decisivo è la ricerca: il CNR deve riprendere il suo lavoro dove il professor Fontanazza lo ha interrotto, miglioramento genetico delle cultivar italiane per una olivicoltura intensiva. E’ la soluzione anche al disastro della xilella. Ma la ricerca non può essere una prerogativa riservata allo Stato: negli ultimi anni abbiamo avuto un forte cambiamento nelle stagioni con eventi meteo estremi che mai prima si erano visti. Per rispondere a questi cambiamenti abbiamo bisogno di nuove varietà che nascano resistenti ad una serie di patogeni o stress. Le imprese e le università possono associarsi per acquisire un brevetto per cultivar resistenti alle avversità climatiche. Esistono i sistemi per il miglioramento genetico.

Poi va sostenuta la funzione produttiva a cui assolvono i frantoi oleari e va intrapresa, e perseguita, la strada del rinnovamento tecnologico e della produzione di oli di alta qualità che valorizzano biodiversità e tipicità, il legame con il territorio e il rispetto dell’ambiente, oltre a garantire la salute dei consumatori. E’ necessario che l’olio artigianale non sia relegato in una nicchia del mercato: sugli scaffali della grande distribuzione l’extravergine dei frantoi deve avere un posizionamento distintivo e riconosciuto che garantisca al consumatore la possibilità di scegliere in modo consapevole.

Un obiettivo che si iscrive nella più generale azione di tutela del cibo artigianale prima che sia completamente sommerso nella marea montante di quello industriale. La politica dei prezzi bassi sta divenendo fattore di rischio per la salute dati gli ingredienti di sempre minor valore e le sostanze chimiche utilizzate nel processo di produzione.

PS. Il magazine “Il salvagente” ha pubblicato una inchiesta sugli oli d’oliva. Secondo i test (campionamento a scaffale secondo la norma ISO sui test comparativi e analisi chimiche da laboratori accreditati e da un panel ufficiale) nessun olio ha riportato risultati chimici analitici fuori norma, ma sette oli su dieci sono stati bocciati dal panel test: sei per difetti di rancido/morchia o acque di vegetazione/muffa e uno per il difetto di rancido. Tra gli oli bocciati c’è Carapelli, la cui pubblicità televisiva si fa notare per originalità: la bottega di un artista, che al posto dei colori usa carne e verdura per realizzare la sua opera e una voce che dice “lasciati ispirare dall’olio Carapelli frutto di una maestria centenaria che seleziona le  migliori olive” una comunicazione doppiamente ingannevole, non c’è nessuna maestria nel mischiare oli spagnoli o tunisini e non c’è nessuna selezione di migliori olive perché i blend si fanno con gli oli già fatti.


N.d.R.

In relazione all’articolo riceviamo e pubblichiamo la replica di Carapelli Firenze S.p.A.






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