Di uomini che hanno affrontato il novecento inseguendo le proprie visioni, in questa rubrica abbiamo già incontrato Benito Jacovitti, Mario Pavesi, Davide Campari e Arturo Gazzoni; uomini straordinari che hanno innovato in profondità la comunicazione e i suoi linguaggi, e che hanno influito sulla formazione di un immaginario nel quale si sono riflessi sogni e aspirazioni di una Nazione intera.
I fratelli Del Duca sono tra questi.
Cino è un ragazzo del ’99, figlio di un garibaldino, socialista per tradizione e vocazione, venditore di libri a fascicoli, nel 1928 insieme ai fratelli Domenico e Alceo fonda la Casa Editrice Moderna che, forte della sua esperienza di venditore ma probabilmente anche della sua visione del mondo, dedica alla pubblicazione di romanzi popolari. Tra questi, in un’Italia che sentiva l’epopea risorgimentale ancora vicina, il primo successo è Il cuore garibaldino, con ogni probabilità velato tributo anche alla sua storia familiare.
Non sarà l’unico successo, gli affari per la Casa Editrice vanno bene; nel 1931 acquistano la prima tipografia, nel 1933 portano in edicola il primo numero de Il monello al quale, nel 1935, seguirà L’Intrepido, albi che avranno lunghissima vita, pietre miliari del fumetto italiano con cui sono cresciute generazioni di adolescenti.
Con Cino che altalena la sua vita personale e editoriale tra Italia e Francia, nel 1938 i fratelli si dividono; la Casa Editrice Moderna cambia nome e diventa Casa Editrice Universo.
Gli anni della guerra passano un po’ avventurosamente per tutti e, a guerra finita, Cino deciderà di rimanere in Francia dove costruirà la sua fortuna di poliedrico editore.
Mangiare da copertina. Grand Hotel e l’Italia ideale
Il 29 giugno 1946, in un’Italia appena diventata Repubblica e che impiegherà ancora anni per fare i conti con la realtà e rimettersi in piedi, arriva in edicola una rivista che già dal nome evoca il sapore di una vita che in quel momento a tutti gli italiani manca, e richiama un film di alcuni anni prima con Greta Garbo, la divina per eccellenza.
Grand Hotel è molto più che un nome e molto più che una rivista; è un desiderio, un sogno.
Dodici lire per dodici pagine: buoni sentimenti, amori sognati e, anche se qualcuno è travagliato come a volte sono anche gli amori più ordinari, amori da inseguire anche se inarrivabili.
Il successo è immediato; centomila copie il primo numero, tutte esaurite, ristampato quattro volte.
Con Grand Hotel nasce un nuovo genere di narrazione, presto imitato in Italia e all’estero, che troverà un suo vastissimo pubblico fino a tutti gli anni settanta, ma che ancora oggi attesta Grand Hotel tra i settimanali più venduti.
Grand Hotel e l’Italia ideale
Il fotoromanzo, evoluzione iconografica del romanzo popolare, dapprima disegnato e che agli inizi degli anni cinquanta incontrerà la fotografia, è linguaggio estetico di una rappresentazione del quotidiano che affonda radici nell’Italia cresciuta con i romanzi sentimentali di Liala – onda lunga che il concorrente Mondadori cavalca portando in edicola, sempre nel 1946, il settimanale Confidenze di Liala -, ma anche con i romanzi rosa di Giorgio Scerbanenco, trascorso per molti insospettabile dello scrittore che di lì a qualche anno diventerà invece il maestro del nero italiano.
Grand Hotel innova il linguaggio estetico del romanzo popolare, entra in profondità nel quotidiano pop, provoca sussulti e birignao estremi di un establishment politico culturale che lo considera alla stregua di un’arma di distrazione di massa, e inizia a farsi leggere e desiderare anche per il sogno che lascia intravedere dalle copertine che occhieggiano dalle edicole.
Lavorare sulla suggestione attrattiva della copertina è un’intuizione editoriale che fa la differenza e che, nel suo vago richiamo all’ottocentesco feuilleton francese, trova una cifra stilistica originale e inconfondibile nel tratto elegante di una generazione d’illustratori italiani cresciuti negli anni trenta.
Walter Molino, Rino Albertarelli, Giulio Bertoletti sono artisti dell’immaginario a tutto tondo e le loro copertine, con quell’ideale di vita seduttiva ed elegante che tratteggiano da maestri, sono artefici e protagoniste del successo popolare di Grand Hotel.
La tiratura da un milione di copie per ciascun numero che Grand Hotel raggiunge negli anni cinquanta di questo successo è testimone incontrovertibile, ma non basta per restituirne l’esatta dimensione perché ogni rivista cambia di mano più e più volte, è letta nei bar, dal parrucchiere, passa da collega a collega durante le pause mensa, e da vicina di casa in vicina di casa dai pianerottoli e dalle ringhiere.
Grand Hotel non è solo la rappresentazione estetica di un sogno collettivo, ma di questo sogno alimenta una lettura corale, fenomeno di attualità estrema dal punto di vista della comunicazione perché da questa coralità nasce conversazione, ovvero quello scambio d’idee, impressioni, suggestioni e suggerimenti che, traslato sulle piattaforme social di oggi, marca la differenza per una campagna pubblicitaria di successo.
Significati, questi, che in gran parte sfuggono all’intelligenza culturale e politica del tempo, che ai fenomeni di lettura e intrattenimento popolare refrattari a catalogazioni e categorie ideologiche riserva solo diffidenza.
I comunisti, con Nilde Jotti ed Enrico Berlinguer, si pronunciano spesso a sfavore di quella che considerano un’edulcorazione del quotidiano e, come tale, vulnus non tollerabile per una lotta di classe che invece nel quotidiano reale trova la sua ragion d’essere.
Un maldipancismo in qualche modo comprensibile perché il sogno edulcorato, che potrebbe distrarre le masse dalle rivendicazioni di classe, si vende soprattutto al Nord e certamente l’indagine che rileva come nella fabbrica Mazzonis di Torino, su 500 operaie di cui 300 iscritte al sindacato, Grand Hotel diffonde 300 copie mentre L’Unità raggiunge a fatica le 30, avrà morso allo stomaco più di uno.
I cattolici, probabilmente per maggiore vocazione alla trascendenza, intuiscono prima dei comunisti il valore collettivo del sogno e dal 1959, per circa un ventennio pubblicheranno fotoromanzi su Famiglia Cristiana, tra i quali ovviamente anche alcuni dedicati alla vita di santi.
Grand Hotel: Silvana Mangano che lo sfoglia in una scena di Riso Amaro.
Le titubanze e le distanze ideologiche di maniera nulla possono, però, dinanzi alla popolarità di Grand Hotel, che già nel 1949 trova legittimazione cinematografica nel neorealismo di Giuseppe De Santis, con Silvana Mangano che lo sfoglia in una scena di Riso Amaro.
Capace quindi di cogliere tutte le suggestioni di un quotidiano ideale di cui diventa letteratura iconografica, a Grand Hotel e ai suoi artisti non poteva sfuggire la portata immaginaria del mangiare e dei suoi riti che, seduttivi o familiari che fossero, vengono ripresi e sempre calati in un’ambientazione in cui la lettrice – target editoriale di riferimento della rivista – si riconosce sentendosi a proprio agio o si proietta vedendosi nelle sue aspirazioni.
Un meccanismo semplice ed essenziale che proviamo a vedere da vicino.
Grand Hotel 1954: prima galanteria
È il 1954, far studiare i figli è la sfida al futuro delle famiglie italiane, la strada del riscatto sociale e del miglioramento della vita vissuta dai genitori; la copertina che ritrae la prima galanteria nel gelato offerto, parla ai ragazzi che si riconoscono in quei libri sotto il braccio e in quel rito compiuto sotto lo sguardo complice del gelataio e compiaciuto di lei, ma parla soprattutto alle mamme che in quei ragazzi, perbene e benvestiti, ripongono il sogno della vita.
Grand Hotel: 1956: il tè delle cinque
Nel 1956 è il tè delle cinque, rito forse non proprio così diffuso ma che fa molto standing sociale, a offrirci la scena di copertina. La rappresentazione femminile è molto volitiva, enfatizza il piacere dell’ospitalità nel gesto che vede la padrona di casa servire i suoi invitati, e si completa con l’ammiccamento seduttivo della ragazza seduta sul divano, che della seduzione non è vittima ma la sceglie e la conduce. Fatto non irrilevante, la ragazza fuma senza timore di essere giudicata quando, in quegli anni, la donna che fumava era facilmente interpretata a dir poco come eccessivamente disinvolta.
Grand Hotel 1957: la cassiera nuova
Nel 1957 la cassiera nuova ha lo sguardo schivo, è vestita di tutto punto nella sua divisa d’ordinanza, ha i capelli raccolti per dare maggiore austerità al suo ruolo, ma tutto questo non impedisce al giovane avventore, elegante nel suo completo bianco che lo fa immaginare quantomeno impiegato con posto fisso, di rimanerne ammaliato al punto di versarsi il caffè addosso. Non ci sono classi inamovibili nella rappresentazione iconografica dell’Italia ideale di Grand Hotel, perlomeno non nel senso di destino sociale, che può sempre cambiare anche per uno sguardo.
Grand Hotel 1957: lo straordinario
Il passaggio successivo è la vita di famiglia, che ritroviamo sempre nel 1957 nella scena casalinga con una giovane moglie addormentata a tavola, davanti al piatto vuoto, nell’attesa del marito di ritorno a tarda sera dallo straordinario, perché nell’Italia ideale il lavoro è una religione sociale ed è il valore fondante del decoro borghese e di una vita serena.
Grand Hotel 1957: sposina perfetta
Vita serena le cui gioie trovano sintesi estrema nel pollo che, ancora nel 1957, vediamo messo a tavola dalla sposina perfetta. Non è dato sapere se sia un pranzo o una cena; il tempo nella rappresentazione ideale è un unico senza scansione perché nella sua portata mitica la scena si può svolgere sempre e ovunque. Il marito è elegantissimo nel suo gessato e cravatta regimental, ma il vero protagonista della scena è appunto il pollo, fuori misura, esagerato persino nella sua centralità dell’immagine, ma negli anni cinquanta, con il prezzo della carne di manzo difficilmente compatibile con uno stipendio medio, il pollo è la raffigurazione dell’abbondanza in cui tutti si possono riconoscere, il medium che introduce al sogno della vita felice, della casa e del vestire elegante.
Grand Hotel 1958: vacanza in camping
E se la vita di coppia passa anche per la vacanza in camping, con tanto di roulotte, barbecue e cagnolino al seguito come ci racconta la copertina del 1958, quasi rivoluzionaria rispetto ai cliché del tempo è la copertina del 1960 dove, nello scorcio di cucina con fiori e tendine che richiama tanto un’atmosfera americana, il marito offre il suo aiuto provvidenziale alla moglie, impegnata nel lavaggio dei piatti. Il frigorifero è ormai largamente diffuso, per la lavastoviglie bisognerà aspettare ancora diversi anni e l’amore passa anche per il ribaltamento privato dei ruoli pubblici. Certo, si tratta pur sempre di una concessione e nulla di più, ma l’avviso dei tempi che cambiano non è trascurabile.
Grand Hotel 1961: mezzogiorno allo snack bar
Il tempo, quindi, negli anni sessanta cambia frequenza, i ritmi del lavoro inducono a consumi diversi, e così anche il bar diventa snack, luogo ideale per uno spuntino veloce, consumato in piedi, ma dove comunque darsi appuntamento, come vediamo nella copertina del 1961, dove la coppia che non fa trasparire l’idea di essere propriamente sposata, s’incontra incrociando i tempi; lei, che dalla divisa potrebbe essere una commessa da grande magazzino, è già al caffè; lui, arrivato dopo, è impegnato a condire la sua insalata senza staccarle gli occhi di dosso.
Grand Hotel 1963: la partita
Complice la televisione, ormai grande protagonista del quotidiano, il tempo scorre diversamente anche in casa, e la copertina del 1963 ci racconta del pranzo familiare turbato dalla partita e di un padre e figlio che si ritrovano complici nel far attendere la pasta portata in tavola con amore dalla mamma. Notare che di acqua, a tavola, non c’è traccia, il vino rosso è per tutti, anche per il bambino perché non c’è baby boomer che, in età oggi convenzionalmente non descrivibile, non abbia bevuto vino a tavola con i genitori.
Grand Hotel 1964
I ragazzi del 1964, quelli della prima galanteria davanti al carretto dei gelati, sono cresciuti, ma le buone abitudini non si perdono e il rito si ripete, anche se questa volta la scena si svolge in una mensa aziendale, con un primo omaggio floreale che lui vorrebbe scherzosamente infilare nel bicchiere di lei. Non sappiamo se fosse proprio quello il destino che avevano sognato, ma i ruoli sono chiari, il camice fa di lei un’operaia, la giacca e cravatta, di lui quantomeno un impiegato.
Grand Hotel 1964: il momento più atteso
Le coppie, magari non tutte, ma alla fine diventano famiglie e nulla è più liturgico nella vita familiare italiana del pranzo di Natale, il momento più atteso, come recita la copertina del 1964, che non è quello dei regali probabilmente già scartati allo scattare della mezzanotte o la prima mattina al risveglio, ma quello del panettone, che unisce la famiglia felice con i loro tre, dicasi tre, figli. Un numero che se allora dava una dimensione al sogno di una famiglia felice, visto oggi assume il valore di una rappresentazione fantascientifica.
Grand Hotel 1967: San Valentino
L’11 febbraio del 1967 mancano appena tre giorni a San Valentino quando Grand Hotel arriva in edicola. La scena di copertina si svolge in uno spogliatoio aziendale, straordinariamente non separato per uomini e donne; come non proporre di ricordare e festeggiare la festa degli innamorati con una scatola di Baci Perugina?
Costume radicato il regalo di San Valentino, ma certamente esempio precoce di product placement in stile influencer mettere la scatola di Baci Perugina in copertina.
L’iconografia della coppia felice nella vita familiare resiste al tempo e persiste, ma non può non cogliere le correnti che del tempo fanno la differenza.
Grand Hotel 1968: si, ma come cuoca
Nessuno stupore, quindi, per la copertina del 1968, dove la sposina c’è ancora, la valigia con depliant turistico che testimonia il ritorno dal viaggio, forse di nozze, si lascia intravedere, la cucina è grande e attrezzata di tutto punto, insomma gli elementi della felicità sembrano esserci tutti, è tutto perfetto…sì, ma come cuoca.
La tradizione che vuole la moglie perfetta anche nel soddisfare il palato sembra venire meno, vittima forse di un lessico familiare che preme nell’introdurre nuovi canoni e modelli di riferimento.
Il tempo è cambiato e cambierà ancora molto, il 1968 è una linea di confine, la fantasia che vorrebbe andare al potere qualche sogno lo cambia, qualcuno sparirà, anche a lungo, ma non per sempre.
I sogni a volte tornano.
E non è detto che sia una minaccia.
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