Marzolina, sicuramente un prodotto legato al mese che le conferisce il nome… scopriamone di più!
Monti Ausoni, componente pre-appeninica laziale, costituiscono la propaggine montuosa più meridionale del Lazio, quella che tocca la vicina Campania e che, proseguendo attraverso il Parco dei Monti Aurunci, arriva a toccare il Mar Tirreno, con Gaeta, Sabaudia e il Circeo.
Il nome in realtà tradisce le origini preromane e preelleniche di tutta la zona. Gli Ausoni prima e gli Aurunci poi furono popolazioni italiche insediatesi nel basso Lazio e poi giù fino in Calabria; orgogliosa stirpe di guerrieri di origine indoeuropea, furono tra i primi ad abitare la penisola, a sviluppare un’ economia e un’agricoltura floride e a ribellarsi a Roma. Con poco successo, è vero; ma da lì a diventare mito il passo fu davvero breve. I Monti Ausoni hanno un’origine calcarea e i fenomeni carsici che ne interessano alcune zone, richiamano un po’ l’immaginario della terra di confine tra Italia e Slovenia.
Terre brutali, difficili da masticare, per alcuni poco ospitali. Terre di pastorizia, consumate da unghioni quasi millenari di capre e pecore che hanno insediato questi monti forse prima dell’uomo. Per questo la tradizione casearia è così radicata e radicale e difficilmente si ferma ai confini politici subentrati all’intento geologico di Demetra. Alcuni formaggi appartengono tradizionalmente alla Ciociaria, ma nel tempo la loro produzione si è estesa anche al territorio pontino. Uno di questi è il Conciato di San Vittore, vera rarità laziale. L’altro il Presidio Slow Food della Marzolina di Campoli Appennino, dal gusto intenso e inconfondibile, elargito dal latte crudo di capra.
Marzolina di Campoli Appennino: un formaggio, un Presidio, due Monti millenari
La Marzolina – un tempo si poteva fare solo durante il periodo di lattazione di fine inverno, quindi proprio durante il mese di marzo -, si produce con latte crudo di capra della razza Camosciata delle Alpi, Grigia Ciociara e Bianca Monticellana, che secondo i dettami del Presidio, necessitano di essere allevate allo stato brado, proprio su quei Monti Ausoni e Aurunci che delimitano il panorama di questa terra. Originariamente la zona di produzione era solo quella di Esperia, nel cuore ciociaro della provincia di Frosinone. Poi la produzione di latte di è allargata anche fuori da quei confini, fino alla Valle di Comino e ancora nei comuni di Itri, Carpineto e Formia, in provincia di Latina.
La tradizione della Marzolina nel tempo ha rischiato di scomparire, come gran parte delle culture agricole e casearie del nostro Paese, abbindolato da fugaci entusiasmi di grandezze industriali che hanno reso asettico e impersonale il cibo di cui ci nutriamo. Come sempre è stata la resistenza di una donna a rendere ancora fruibile questa specialità alle generazioni future, ubbidendo al precetto per cui allevatori e agricoltori sono custodi di un territorio e delle sue conoscenze. Ad oggi sono solo due i giovani agricoltori che rientrano nel progetto di tutela del Presidio Slow Food, capaci di reiterare un processo produttivo artigianale che passa attraverso il coagulo del latte caprino di due mungiture con caglio di capretto.
Dopo la rottura della pasta e la sua sgrondatura nelle caratteristiche formelle cilindriche, la Marzolina viene pressata a mano e salata a secco o in salamoia, pronta per essere gustata freschissima o dopo una breve stagionatura su graticci di legno. In realtà la tradizione familiare in alcuni casi stagiona la Marzolina dentro barattoli di vetro colmi di olio per alcuni mesi; in questi casi le caratteristiche organolettiche risultano attenuate dalla materia grassa dell’olio, che tende a smorzare i toni piccanti più evidenti e il sentore ircino tipico del latte utilizzato.
La Marzolina è inconfondibile; non solo per la forma cilindrica, ma anche per la totale assenza di crosta, sostituita da una buccia dura e asciutta che nasconde una pasta bianca, scagliosa e leggermente occhiata. Una tempesta di sapori e profumi che rivelano un territorio antico e una storia di ricchezza antropologica inestimabile. Così nutriamo il mondo.
di Tamara Gori