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Psicopatologia della minestra (dimenticata). Parte prima

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Minestra, al solo nominarla mi viene in mente l’inverno, il freddo, ma… Ogni giorno dai mille canali televisivi e dagli infiniti rivoli della rete ci somministrano continuamente preparazioni di pietanze fashion, gustose e ricercate. Questa tendenza, ingenera in alcuni di noi processi di annichilimento delle proprie pulsioni culinarie, perché, se da un lato stimola la mera emulazione, dall’altro provoca frustrazione per non essere all’altezza di cotanta maestria. Personalmente reagisco di converso, educandomi a mantenere un sano profilo casareccio nella preparazione dei miei piatti. Così, colgo l’opportunità offerta da questo proscenio telematico che mi ospita, per stanarmi e condividere un’impellente rivelazione: io amo la minestra!

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Il Mangiafagioli, dipinto di Annibale Carracci del 1584-1585, custodito alla galleria di Palazzo Colonna a Roma.

E’ un’ammissione banale, ironica, oppure semplicemente anacronistica? Non lo so, però nutro un amore attuale verso le minestre, tutte. Pur tuttavia, quando mi accade di discorrere sull’argomento, mi affanno con pervicacia ad affermare l’esistenza di una sola categoria di minestre vere. Ed è in quei momenti che i miei interlocutori dimostrano un incompreso, scarso interesse alla questione, ma anche grande maturità, fanno esercizio di saggezza ed evitano facili contumelie. In verità, una classificazione delle minestre che possa considerarsi diffusamente riconosciuta non esiste e questa, ancora oggi, risulta essere questione assai dibattuta. Tant’è. Il mio intento, invece, è quello di astrarmi dai polverosi consessi di alta cucina e di abbandonarmi (in effimero) al più ostinato solipsismo culinario, per attribuire al termine minestra una nuova accezione. Che non è minestrone, non è zuppa, non è brodo; non è riso con verdure, non è vellutata, e non è neanche minestrina. Mi spingo oltre, rasentando la blasfemia culinaria, ed insinuo che anche i piatti a base di pasta e legumi non rientrano nell’olimpo delle minestre vere. Sono controversie mai risolte, ma di alta rilevanza strategica, che devono essere necessariamente definite per consentire la riscrittura di una (seppur) possibile tassonomia delle minestre.

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Giorgio Gaber cantava: “Una bella minestrina è di destra, un minestrone è sempre di sinistra”.

Psicopatologia della minestra (dimenticata).

Cos’è la minestra? La minestra è un’ideazione dell’ingegno popolare, cui spetta di diritto un posto nel novero delle migliori creazioni artigianali della cultura italiana; un piatto straordinario della nostra cucina che, da antica data, ha nutrito intere generazioni nei momenti più miserevoli della storia di questo Paese. L’indimenticato Giorgio Gaber, con l’acume che lo distingueva, cantava che “Una bella minestrina è di destra, il minestrone è sempre di sinistra”; e aggiungo io: e la minestra? Pensateci su. Mentre voi elucubrate, si va costituendo il M.A.M., ovvero un movimento che si spende per l’attualizzazione della minestra, con lo scopo ultimo di rivalutare ad un tempo sia l’importante ruolo sociale svolto da questo piatto, sia le sue caratteristiche organolettiche che stimolano i nostri organi sensoriali, palato in primis. La minestra è il piatto della socializzazione, è il piatto che non si nega a nessuno, è pietanza digeribile ed è il piatto economico per eccellenza.

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Cena in Emmaus, dipinto di Caravaggio datato 1601-1602, custodito alla National Gallery di Londra.

Ciò detto, occorre impegnarsi oltremodo per rimuovere dall’immaginario collettivo la retorica sulla minestra. Fatta di detti come la solita minestra, che sta ad indicare situazioni note, non modificate e replicate nel tempo. In particolare, questa espressione viene usata dall’animale uomo quando narra dell’inesorabile (?) slittamento dell’eros nelle coppie storiche, slittamento che si tende ad attribuire alla non modificabilità, al mancato rincalzo, insomma alla fissità del partner sessuale protratta nel tempo. Ancora, o mangi questa minestra o salti dalla finestra, altro detto popolare utilizzato ad indicare una situazione nella quale non sono previste possibilità di scelta libera e consapevole, bensì viene proposta un’unica via percorribile: una minestra poco appetibile e non emendabile. Ognuno di noi è cresciuto con questi mantra che hanno drogato la percezione della minestra nel nostro immaginario. Nel comune pensare si tende a considerarla una pietanza minore, da confinare al lunedì (il giorno più deprimente della settimana) come piatto d’espiazione del peccato, goduto negli eccessi enocalorici del fine settimana. Ma ora basta.

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Zuppa, minestrone o…minestra vera?

E’ giunto il momento storico di rivalutare questa pietanza e di riconoscerne la bontà. Partiamo dall’assunto. La minestra, come la intendo io, va cucinata con la giusta dose di sacralità e non può prevedere più di 3 ingredienti base, scelti solo tra ortaggi e verdure in foglia; loro, e solo loro, possono disvelare il carattere finito della pietanza. Non mi soffermerò qui, come fanno tutti, a fornire ricette di gustose minestre. Preferisco che gli interessati con la loro fantasia si autostimolino (specificamente in senso culinario) a cucinare una minestra vera. Voglio indurre, però, a prepararne una delle più semplici, dando solo alcune indicazioni, come la scelta della pentola, che sarà proporzionata ai commensali da servire e che è da preferirsi in coccio. Gli ingredienti sono porro, cipolla, carota e sedano per il soffritto; cavolo nero patata e zucca per il composto, olio extravergine d’oliva, timo, sale, parmigiano e peperoncino per la finitura. Da escludere l’uso di brodi vegetali, se non quelli preparati in casa. Il tipo di pasta? Cannolicchi grandi, tacconelli o, di ripiego, maltagliati. Ricetta semplice, sublime.

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Il cavolo nero è ingrediente principe di molte minestre o zuppe invernali.

E qual’è la consistenza di una minestra vera? Questo è un aspetto non facile da spiegare, in quanto risulta essere la perfetta sintesi di quantità dell’acqua, quantità della pasta, tempi totali di cottura della minestra e grado di umidità delle verdure utilizzate. Tuttavia, terrei a mente questo suggerimento; la giusta consistenza di una minestra vera si rivela all’ultima cucchiaiata, quando nel piatto deve rimanere una quantità proporzionata di pasta e liquido, in perfetto equilibrio simbiotico. Come ogni preparazione di buon livello, la riuscita è strettamente legata alla materia prima, decisamente fresca e biologica. Devo anche chiarire quanto segue, a costo di inimicarmi qualche lettore (maggiormente tra le vecchie generazioni); la minestra si mangia a temperatura ambiente, solo così puoi goderne i distinti sapori che ti seducono il palato, la mente ed il corpo.

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La minestra vera, quella che è “incontro, è focolare, è…casa tua”.

Gustosa, colorata, profumata, non bollente, è il modo giusto per farla apprezzare anche ai bambini. La minestra, così intesa, è molto più di una coccola, è piacere puro, è un’esperienza ai limiti del lisergico, è incontro, è focolare, è… casa tua.

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di CIBARIA






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