Orvieto Classico, no non è un tour tra le bellezze architettoniche di Orvieto, parliamo di vino.
Nasce nel comune di Abbadia San Salvatore, ai piedi dell’Amiata. Scorre per 86 km, lasciandosi alle spalle Toscana, Lazio ed una porzione di Umbria, prima di tuffarsi sulla riva destra del Tevere, a pochi chilometri dal Lago di Corbara. Il Fiume Paglia appartiene al territorio dell’Orvieto e ai suoi vini quasi quanto l’immagine del Duomo della città. La Cattedrale di Santa Maria Assunta è un tripudio dell’architettura gotica; rifugge da ogni categorizzazione, ma è la perfetta fusione di epoche diverse e dei molti artisti che ne hanno segnato il profilo. Il Pinturicchio alla fine del 1400 ne ristrutturò alcuni elementi, chiedendo che una parte del pagamento fosse costituita dal vino di Orvieto; la stessa richiesta che fu avanzata dagli operai impegnati nei lavori del Duomo.
Il talento di questo territorio e del suo vino è già allora confermato dalle righe polverose della Storia. L’Orvieto è stato uno dei primi vini a fregiarsi della DOC; è diventato tra i vini più famosi al mondo, portando con sé il nome della sua città, a riconoscimento dell’importanza conferitagli per il suo pregio. Tufacea ed etrusca, Orvieto vede già nel nome un legame inscindibile col vino: Oinarea -città dove scorre il vino- sembra infatti, fosse l’origine del nome. Le grotte scavate nel tufo erano i luoghi di affinamento creati dagli antichi Etruschi e ancora oggi utilizzati da alcuni produttori. I suoi vini sono in grado, nelle versioni più riuscite, di invecchiare per anni e anni, alla stregua del protagonista di Bram Stoker. Eppure l’Orvieto sembra essere sempre più legato ad un amletico concetto shakespeariano: “famoso o famigerato”?
Oggi l’Orvieto meriterebbe ben altro fasto. Ma il bipolarismo nelle vendite ha sempre giocato su due fronti: l’Orvieto della grande distribuzione, a prezzi irrisori, che offusca il lavoro di chi vuole riaversi dell’antico blasone, contro prodotti che hanno altri costi e un’altra “consistenza” ; con queste dinamiche, la confusione generata nel consumatore è palese, anche perché l’immagine dell’Orvieto come grande vino è tutta da narrare. I 16millioni di bottiglie l’anno non ne fanno certo un vino di nicchia e tirare la coperta fuori dai confini del Classico, non giova mai ad un’aggettivazione di qualità, né per il prodotto tradizionale, né per gli attori impegnati in questa direzione sulla zona di produzione più antica. Ma ad Orvieto si fa vino da 2500 anni, c’è poco da inventare.
Orvieto Classico: come il fiume Paglia segna le due facce di un territorio
Il protagonista millenario di questo territorio è da sempre un fiume. Il Paglia è un fendente che taglia in due la zona più vocata, tirando i confini tra due aree ben distinte anche da un punto di vista squisitamente geo-litologico: il versante sinistro è caratterizzato dalla presenza del Tevere e del Lago di Corbara, con un territorio di origine pleocenica, sabbioso, a tratti argilloso, con presenza di limo formatosi probabilmente dallo scontro delle placche tettoniche africana e indo-europea…e poi conchiglie, conchiglie, conchiglie. La sponda destra invece vede un substrato di marne argillose e matrice vulcanica, grazie al comprensorio dei Monti Vulsini. I vini delle due rive non possono essere più sottilmente dissimili tra loro: leggiadri e marini i primi; potenti e austeri i secondi. Il duello è fioretto contro spada.
La lettura di un territorio così complesso è passata attraverso la degustazione di cinque grandi aziende, tutte necessariamente Orvieto Classico Superiore, con uvaggi che variano tra il tradizionale (Procanico, Grechetto, Druppeggio, Verdello e Malvasia) e l’inserimento di cosiddetti vitigni migliorativi. Il confronto in una degustazione comparata e alla cieca, ha dimostrato che il territorio esiste ed è tangibile e che il filo conduttore di questi vini, provenendo da territori alcalini, è la sapidità e non, come molti pensano, l’acidità.
Il racconto del versante sinistro del fiume Paglia è affidato a tre aziende dell’Orvieto Classico.
Castello di Corbara: fine e sottile, giocato molto sulla freschezza, con sentori sapido-iodati e note vegetali probabilmente date dal Sauvignon. La vinificazione separata e la vendemmia dei vari cru, sparsi nella zona del Lago di Corbara, donano un vino elegante e molto bevibile.
Decugnano dei Barbi: siamo in presenza di un vino di estrema eleganza e freschezza che, senza la minima forzatura, potremmo paragonare ai vini di Chablis; che sia l’eredità delle ostriche plioceniche a renderlo così attraente è probabile, vista la loro consistente presenza nel substrato di questa zona.
Barberani: si fregia di un allevamento completamente naturale, andando ben oltre i dettami del biologico. Il Luigi e Giovanna è giunonico, esotico al naso e vellutato in bocca. Pur mantenendo la dorsale alta, si fa notare per un corpo più abbondante rispetto agli Orvieto di questo versante, probabile lascito della muffa nobile, presente nell’uvaggio tradizionale. Unico vino della batteria ad essere passato in legno.
Due le aziende sulla sponda destra, a ridosso della Rupe tufacea e quindi più vicini alla città di Orvieto.
Enrico Neri è giovane, ma riesce già a trasmettere con il suo Orvieto Ca Viti una traccia di territorio che non ha nulla da invidiare al resto dei grandi vini italiani. La sapidità qui si fa più importante, anche se il fruttato gli dona morbidezza. Se i vini della sponda sinistra richiamano il giusto abbinamento con pesci grassi e molluschi, qui il matrimonio è con la carne bianca.
Palazzone è per molti l’emblema della rinascita dell’Orvieto di qualità. Vini di profonda severità, in grado di invecchiare per decenni grazie alla sapidità. Se i vini della sponda destra sono delle spade Campo del Guardiano è sicuramente una katana e Giovanni Dubini è altrettanto sicuramente l’Hattori Anzo del Kill Bill orvietano. Coniglio porchettato e tagliatelle con salsiccia sono da preferire ad abbinamenti ittici.
Si ringraziano: per l’ospitalità concessaci e per la dedizione alla scoperta dei territori, il Ristorante il Vicoletto a Vignanello (VT); per le preziose indicazioni l’Enoteca al Duomo di Orvieto.
di Raffaele Marini