Puzzone di Moena di Malga. Quando il profumo è tutto
Lassù, tra la Val di Fassa e la Val di Fiemme, gli altopiani e le malghe sorridono alle brune e alle grigie alpine. Siamo in Trentino Alto Adige, nel cuore delle Dolomiti. In questa zona delle Alpi un formaggio come il Puzzone di Moena è un unicum; come a dire più unico che raro. E non per l’utilizzo del latte di alpeggio; neanche per la lavorazione pressocché totalmente manuale.
La sua eccezionalità sta tutta nel fatto che il Puzzone di Moena è un formaggio a crosta lavata. Come lui ci sono solo il Taleggio (ma siamo tra Piemonte e Lombardia) e la Fontina, direttamente dalle cime della Vallée d’Aoste. Ma andiamo per ordine.
Puzzone di Moena di Malga: il territorio
Il Puzzone di Moena fino agli anni Settanta era conosciuto semplicemente come Nostrano. Tutt’al più nelle valli era familiarmente chiamato spretz tzaorì, con quel retaggio di lingua ladina che ad oltranza designa l’origine antica dei popoli di queste valli. L’onda lunga dell’Impero Asburgico, ma ancor prima della commistione linguistica tra il latino dell’antica Roma e il celtico delle popolazioni preesistenti alla conquista, risiede tutta in questa minoranza linguistica.
Il fascino di queste terre viaggia a lungo e arriva trasportato dai venti freddi delle Alpi, attraverso quelle lingue retroromanze che solo recentemente hanno conosciuto una loro tutela. Non da meno il retaggio è lo stesso del Romancio, anch’essa lingua a tutti gli effetti, parlata tuttora dai Grigioni dell’omonimo cantone svizzero. Nostalgia? Non so, sarà che da piccola Heidi mi ha fatto respirare la montagna e, in seguito, mi sono lasciata ammaliare dall’eleganza tutta mitteleuropea dell’Impero di Vienna. Comunque.
Puzzone di Moena e Slow Food
Dopo gli anni Settanta, a seguito della diffusione di questo formaggio, lo Spretz Tzaorì è diventato Puzzone di Moena. Perché? Perché puzza. O meglio, per gli intransigenti dello Chanel N.5 anche nel pollaio, l’odore pungente del vegetale fermentato, o quei sentori di cantina, di lieviti, pronti a lasciare spazio agli aromi di pascolo, erba alpina, frutta matura, probabilmente equivalgono alla sgradevolezza delle puzze. Ma di fatto forse anche il nome ha contribuito a designare il successo di questa rarità casearia di malga.
Il Puzzone di Moena è disciplinato dalla Denominazione Origine Protetta solo dal 2014, nonostante il Consorzio di tutela ne abbia sottoscritto un protocollo di intesa almeno dagli anni Ottanta. Ma Slow Food, molto prima della DOP, è intervenuta a tutela del Presidio Puzzone di Moena di Malga.
Caratteristiche del Puzzone di Moena
Cosa cambia rispetto alla Denominazione? Essenzialmente una restrizione produttiva e una stringente tutela dell’origine del latte. Di fatto il Puzzone di Moena di Malga è frutto del conferimento lattiero che avviene due volte al giorno, solo dalla metà di Giugno fino a fine Settembre. Questi sono i periodi che corrispondono alla monticazione delle mucche all’alpeggio e alla loro ridiscesa a valle prima della stagione fredda. E non è un caso.
Il latte delle mucche che pascolano in alpeggio ha caratteristiche totalmente diverse rispetto alle mucche stanziali in stalla, nonostante queste vengano comunque alimentate con erba di pascolo di sfalcio. La montagna, i suoi profumi, la ricchezza nutritiva delle erbe che la caratterizzano, oltre ad una predisposizione della razza bovina, definiscono un latte più profumato, più denso di acidi grassi polinsaturi e di proteine. Il tutto si traduce nella capacità di quel latte di donare un formaggio più ricco, dal colore tendenzialmente più giallo, perché più ricco di grassi “buoni”. E qui i 2500 metri di altezza degli alpeggi scelti per il Puzzone di Moena di Malga si sentono tutti.
La lavorazione del Puzzone di Moena di Malga
La lavorazione poi non è secondaria. Dicevamo pressoché tutta manuale e con il latte di soli 12 soci del Consorzio, conferito due volte al giorno al caseificio sociale di Predazzo Moena, l’unico dei quattro del Disciplinare incaricato della produzione del Puzzone di Moena presidio Slow Food. Il latte utilizzato è intero e crudo, quindi appena riscaldato a 34 gradi per mantenere tutte intatte le cariche batteriche che connoteranno la tipicità gustativa e aromatica del Puzzone.
Il caglio è quello di vitello e il lattoinnesto è prodotto in azienda; niente farmacie con bustine di innesti chimici, per intenderci. Dopo la rottura della cagliata si procede alla cottura a 47 gradi e, dopo il deposito, al taglio e al dimensionamento all’interno dei teli; leggera pressatura a mano, posizionamento nelle fascere di legno, pressatura e sgrondatura per la notte successiva, per poi passare al bagno in salamoia.
La crosta del Puzzone di Moena di Malga
Per almeno 48 ore le forme di Puzzone di Moena verranno girate e rigirate in acqua calda e sale, per poi essere trasferite nei locali di stagionatura. Un minimo di 60 giorni fino ad un massimo di sette-otto mesi in cui settimanalmente il Puzzone di Moena di Malga verrà lavato con un panno caldo e umido, affinché la crosta assuma una connotazione rosso mattone e tutte le cariche fermentative si concentrino all’interno della forma, designandone un bouquet aromatico penetrante e complesso.
Un lavoro durissimo e lungo, realizzato, obtorto collo, esclusivamente a mano. Anche questo contribuisce a rendere il Puzzone di Moena di Malga un prodotto suadente in bocca, avvolgente e solubile, con lievi cenni di nocciola tostata e una lunghezza gustativa unica.
Come riconoscere il Puzzone di Moena di Malga Presidio Slow Food? Non solo la garanzia dell’indicazione in etichetta, ma anche la marchiatura con la M di malga su ogni taglio della forma.
Puzzone di Moena di Malga
E se è un piacere gustarlo accompagnato ai tipici canederli trentini o alla polenta, meglio se di grano saraceno, l’optimum sarà concepirlo come formaggio da seduzione, da gustare in purezza, magari concedendogli un abbinamento enologico. E qui è la componente grassa del formaggio a orientare la scelta verso il Teroldego Rotaliano, vino rosso, vigoroso e possente, perfettamente in grado di contenere l’esuberanza olfattiva del Puzzone di Moena.
di Tamara Gori