Ragù alla bolognese… Bologna la Grassa!
Bologna la Dotta, la Rossa e la Grassa. Bologna cantata e fatata, “…una vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano e il culo sui colli…”. Bologna nei toni graffianti di Guccini, “una provinciale Parigi minore, coi suoi mercati e i bistrot da rive gauche”. Bologna coi palazzi di pietra rossa alle spalle e la nostalgia visionaria di Lucio Dalla, una poetica da saltimbanco mossa tra “gatti senza un padrone e gli innamorati in Piazza Grande”.
Bologna la Dotta, dall’architettura imponente di antichi palazzi e chiese ricche di opere d’arte. Con la prima Università d’Occidente che nel 1088 ne fece già un tempio di sapienza, in grado di attirare studenti illustri e geniali, da Dante a Petrarca a Boccaccio. Bologna che ama l’arte e la bellezza. Unico esempio al mondo di città che ha osato reinventarsi i suoi spazi urbani per poter dar sfoggio della sua incessante necessità di stare con l’altro. I portici, luogo pubblico e privato di socialità e commercio. Sono un salotto all’aperto lungo 40 chilometri, simbolo suggestivo dell’ospitalità bolognese e della sua anarcoide visione dello spazio e del tempo. Ombrelli per la pioggia e refrigerio dal sole nell’estate emiliana.
Il Portico di San Luca, con i suoi quasi quattro chilometri, ne è l’esempio principe. Collega il centro storico di Bologna al Santuario di San Luca, sul Colle della Guardia e percorrerlo a piedi è il ringraziamento tradizionale per una grazia ricevuta, piccola o grande che sia, per un amore ritrovato o un esame superato.
Ragù alla bolognese… Bologna la Grassa!
Bologna la Rossa, socialista per vocazione, comunista per resistenza dopo la seconda guerra mondiale. Rossa come è rossa la pietra dei palazzi che ne costituiscono lo scheletro storico, la pietra dei colli sui quali salire a godere del fresco e del sole. Rossa come le automobili che in tempi moderni ne hanno fatto il simbolo del lusso e dell’italian-style e che in terra emiliana hanno trovato la loro casa.
Ma più di ogni altra cosa Bologna è la Grassa. La sua cucina è antesignana della cucina italiana nel mondo: è il Prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano, la Mortadella di Bologna, i tortellini belli come l’ombelico di Venere, l’Aceto Balsamico. Tutto si concentra a Bologna e di Bologna popola i mercati e le vetrine dei negozi storici. Come l’antico “mercato di mezzo”, vicino alla Basilica di San Petronio, in cui i gourmand dal gusto raffinato impazzirebbero nel non saper dove volgere lo sguardo. Negozi dalle mille tipicità, salumi e formaggi, pasta e salse, ma tutto rigorosamente artigianale per celebrare l’edonismo bolognese del gusto e del palato. “
Quando sentite parlare della cucina bolognese, fate una riverenza, che la merita”, diceva il grande Pellegrino Artusi nel suo “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, un trattato sulla buona cucina italiana scritto nel 1891 e diventato la Bibbia di tutti i cultori della gastronomia di qualità.
Ragù alla bolognese
E non poteva dimenticare, Pellegrino Artusi, l’emblema di questa città e della sua assoluta priorità del mangiar bene: il ragù alla bolognese. Non si fa per accompagnare gli spaghetti. O meglio, lo si fa in tutte le parti del mondo, dove il nome diventa un neologismo linguistico che solo per assonanza si avvicina alla ricetta originale. Qui a Bologna, invece il ragù accompagna le fettuccine.
E non poteva essere altrimenti visto che il territorio da sempre racconta quello che mangiamo. La terra emiliana non fa crescere il grano duro. Quello lo troviamo al sud, in Basilicata o in qualche zona della Campania e della Puglia. A Bologna cresce solo grano tenero, quello dal bassissimo valore proteico, che da solo non riuscirebbe a garantire la consistenza al dente della pasta. E’ per questo che da sempre si aggiungono le uova. Qui la pasta fresca diventa un culto quasi religioso: tirata a mano per saggiarne consistenza e spessore. Tagliata “a una forchetta” per sughi più vigorosi e importanti, oppure “a due forchette”, più lunga e capace di declinare salse più fresche e leggere.
E il tempio della pasta fresca a Bologna da almeno 130 anni è Paolo Atti & Figli, negozio storico della vecchia Bologna, con gli arredi di inizio secolo, le stampe di famiglia e le confezioni in eleganti scatole liberty, che sembrano accogliere una reliquia preziosissima.
Ragù alla bolognese…
E magari è proprio così. Una reliquia che, insieme ad un buon bicchiere di Lambrusco, non può che essere accompagnata dall’altra eccellenza bolognese: il ragù, quello vero, quello senza pomodoro! La ricetta originaria infatti, riportata nella numero 87 del famoso abbecedario dell’Artusi, decretata dall’Accademia Italiana della Cucina e depositata con atto notarile presso la Camera di Commercio di Bologna, prevede solo carne bovina, meglio se di taglio cartella, macinato grosso o tagliata al coltello. Gli odori permessi sono solo sedano, carota e cipolla, al limite un po’ di noce moscata. Si aggiunge del brodo o dell’acqua calda per amalgamare l’ingrediente principe del ragù: il tempo. Perché un ragù alla bolognese che si rispetti deve sobbollire per ore e a fuoco lentissimo.
Il pomodoro è aggiunto solo in tempi recenti e come punta di un cucchiaio, tanto per dare colore. Ma non ditelo a Pellegrino Artusi: lui chiamava “pomodoro” il suo fido prelato, in un’accezione del tutto negativa, tanto per denigrare il fatto di ritrovarselo sempre tra i piedi!
di Tamara Gori