Riserva Bucerchiale. Una verticale lunga quarant’anni. L’enoteca L’Angolo Divino, nella suggestiva scenografia di Campo dei Fiori a Roma, ha fatto da cornice alla degustazione in verticale della Riserva Bucerchiale di Fattoria Selvapiana. Una tiepida serata romana ha accolto il 23 febbraio scorso il fiore all’occhiello di questa storica azienda vinicola della Rufina (si pronuncia Rùfina), la più piccola delle sottozone del Chianti, sulle colline a nord-est di Firenze, tra il Mugello e i rilievi pratesi.
Una batteria di otto vini in assaggio verticale; un viaggio lungo quasi quarant’anni, partendo dal 2012 per arrivare al 1978, per un’azienda che come poche altre può vantare assaggi godibilissimi di annate come il 1965 o il 1948! Ogni annata ha fatto da segnalibro tra le pagine della memoria, per alcuni tangibile, per altri legata ad un immaginario immaginifico, elargito solo dal racconto. Il tempo non è stato in grado di sfessare il vino, anzi ne ha sottolineato le sfumature, portandone in rilievo la tipicità. Ogni annata ha saputo mantenere integra un’impronta unica, ma tessuta su una trama univoca, in cui l’olfatto richiama qualcosa di primordiale: il fragore del ferro, l’odore acre del fuoco, della ruggine, del sangue. Una battaglia campale in quello che sembra un salto temporale nei secoli bui del Medioevo.
A guidare la degustazione il successore di Francesco Giuntini, Federico Giuntini A. Masseti, che insieme alla famiglia accompagna tutta la “narrazione” di Fattoria Selvapiana.
Riserva Bucerchiale. 40 anni in verticale
DEGUSTAZIONE. “Mi piace invecchiare, perché il tempo dissolve il superfluo e conserva l’essenziale”.
Alejandro Jodorowsky
Riserva Bucerchiale 2012. Elegante, lieve, un fioretto lungo e acuminato; naso balsamico con note oscure di liquirizia e rabarbaro; in sottofondo una lieve nota avvolgente legata alla caramella mou. Carne affumicata. Una leggiadria inaspettata, donata da un’estate piovosa che si è ritrovata con un innalzamento delle temperature proprio a ridosso della vendemmia.
Riserva Bucerchiale 2011. Frutta fresca a bacca rossa e iniziali note erbacee di Echinacea che si evolvono in erbe officinali. Elegante nell’estensione tannica, mantiene l’originale freschezza conferitagli da una note verde. Questa Riserva Bucerchiale nasce in un’estate equilibrata, con uno sbilanciamento di calore solo a fine Agosto, che ha influito su un’accelerazione zuccherina a discapito di una tannicità che trova integrità soltanto da poco tempo.
Riserva Bucerchiale 2009. Il naso più caldo finora. I toni ferruginosi lasciati in eredità dal tempo, qui sono più evidenti. Torna il sentore di carne affumicata. Grande nitidezza al palato, i tannini marcano con una trama più virile, a discapito dell’accoglienza femminile che solitamente questo cru dimostra. In fase retrolfattiva, piacevoli note di erbe officinali. Grande annata per la stampa, anche se per noi bevitori seriali, sembra ancora un po’ chiusa, forse un po’ sofferente del legno. Ma qui è probabile che l’emancipazione necessiti di più tempo.
Riserva Bucerchiale 2006. Perde in carisma, ma compensa con un aumento del fascino. Naso “stokeriano” senza precedenti: la traccia ematica è la testa di ponte per quello che nel calice diverrà uno degli olfatti più complessi, passando dalla menta al sigaro toscano, su un fondo di liquirizia e toni sotterranei. Verticale senza cedimenti. E’ probabilmente l’annata emblematica per Fattoria Selvapiana.
Riserva Bucerchiale1993. Affumicato in maniera evidente, probabile retaggio delle botti utilizzate all’epoca; polveroso, con note di tabacco, non perde l’eco territoriale. L’annata molto fresca ha concepito un vino di estrema e viscerale eleganza. I maestri del vino avevano targato questa annata qualche tempo fa come una delle più difficili, a cui non chiedere altro; per molti in questa serata è risultata una delle annate più riuscite
Chianti Rufina Riserva 1983. Iniziano i sussurri, senza nessun accenno ai rantoli. Naso che lascia ogni ostentazione ed esuberanza, semmai ce ne fossero state. Polish, lievito madre; note che evocano l’amaro, china, ferro caldo, amaranto. In bocca è succoso e al contempo terroso, con note di amarena e peperone arrostito che lasciano spazio alla mandorla e alla nocciola tostata. Non cede in lunghezza. Nessun baratro e nessuna stanchezza. Una finezza estrema e un’austera antichità che non perde i toni dell’accoglienza maternale.
Chianti Rufina Riserva 1980. Ancora trama della matrice territoriale; sigaro e fumo si inseguono, poggiando su uno spartito di goudron. Il più verticale e dalle affinità d’Oltralpe. In bocca è semi orfano di tannini, ma sfodera una lama tagliente in grado di arrivare a colpire ogni angolo nascosto della bocca. Malolattica svolta in bottiglia. Per molti di difficile interpretazione. Il 1980 è l’annata del Rinascimento per la toscana del vino: vendemmia dopo il 10 di ottobre, controllo della temperatura, sostituzione dei contenitori per la maturazione, che fino a quel momento erano cemento e legno di castagno.
Chianti Rufina Riserva 1978. Liquirizia amara, mirtilli in confettura, ferro e ruggine si mantengono come rumore di sottofondo, ombreggiati dai toni balsamici vicini allo zenzero. In bocca è terroso, pur mantenendo viva la nobile gentilezza che lo contraddistingue. Vino che il tempo ci ha riconsegnato in forma e con eccezionale nitidezza.
Tutti i vini hanno un taglio aristocratico, autentico e austero, figli di una nobile intellettualità che si avvicina al popolo. Per questo ricordano la semplice profondità di Federico Giuntini.
Ringrazio sentitamente per la serata Massimo Crippa, patron dell’enoteca L’Angolo Divino per l’accoglienza e la cordialità; Flaminia Cesa e Tamara Gori per il supporto e l’entusiasmo. E naturalmente grazie a Federico Giuntini per essere così disposto a mettersi in discussione ogni volta e a donare parte di sé e della sua azienda.
di Raffaele Marini