Semi antichi. 10 domande sul brevetto della vita.
“Per fare l’albero ci vuole il seme…” cantava Sergio Endrigo nel 1974. In effetti tutto nasce da un seme. L’agricoltura nasce da un seme. Il cibo nasce da un seme. Solo dopo diventa anche metafora della storia dell’Uomo, dell’antropizzazione dei luoghi, della conoscenza della vita.
Sapete quante varietà di mela esistono al mondo? Circa 75.000, di cui duemila solo in Italia. L’approssimazione è d’obbligo, vista la sovrapposizione storica nel tempo delle varietà. Alcune ormai sono scomparse e altre sono conservate solo nello Svalbard Global Seed Vault, il deposito globale delle sementi. Si tratta di un Eden ibernato 250 metri dentro la roccia a 1200 chilometri dal Polo Nord, con il compito di salvaguardare il germoplasma mondiale da qualunque tipo di catastrofe o perdita genomica.
Domanda successiva: avete mai fatto caso a quante varietà di mele troviamo in vendita nelle botteghe o nei supermercati? Appena otto, sempre le stesse: Red Delicious, Granny Smith, Gala Delicious, Golden e poche altre.
Sapete quante varietà di grano esistevano in Italia fino al 1927? Ben 291, di cui 57 nell’assolata Sicilia. Eppure avete idea da dove deriva tutta la farina 00 che utilizziamo in cucina? Pressocché da un’unica specie, nelle sue tre varianti: il Triticum.
E il cotone? In India, dove sono state mantenute le coltivazioni più estese e redditizie, ne esistevano una sessantina di semi. Oggi la Monsanto ne ha ridotto l’utilizzo e la liceità ad un solo seme, brevettato e il cui costo si è moltiplicato ottomila volte in dieci anni.
Semi antichi
Un recente studio commissionato dalla FAO ha sancito come nel corso del secolo scorso si sia perso almeno il 75% della biodiversità delle colture nel mondo e la prospettiva da qui ai prossimi 40 anni non va migliorando. Cosa sta succedendo? O meglio, cosa si è bloccato nella catena riproduttiva secolare utilizzata dall’uomo per garantire la propria alimentazione?
Da sempre il lavoro dei contadini è stato quello di selezionare tra i semi antichi, quelli delle piante più vigorose e resistenti per poterli eternare nelle semine successive. Si è così dato vita ad una selezione di svariate migliaia di varietà orticole e frutticole, adattabili alle diverse condizioni climatiche e orologiche, da sempre oggetto di baratto.
Semi antichi. 10 domande sul brevetto della vita
Tutto è proceduto in questo modo fino a qualche decina di anni fa. Fino a quando si iniziò a pensare che il cibo si poteva comprare, prima che coltivare o creare. Fino a quando si iniziò a comprare le sementi più che a custodirle. Ma quelle sementi erano sterili. Da quei semi, l’anno successivo non nasceva più nulla; occorreva di nuovo comprarli e così ogni anno. Quei semi iniziarono ad essere oggetto di compravendita e, prima ancora, di modificazioni genetiche finalizzate a creare una dipendenza dei contadini dalle grandi aziende multinazionali.
Per la prima volta si riconosceva la possibilità di depositare brevetti su qualcosa che non fosse un prodotto chimico o meccanico. Nell’assoluta non ottemperanza della Direttiva europea del 1998, che impedisce la brevettabilità di varietà vegetali e animali, l’Ufficio Europeo dei Brevetti (EPO) ha riconosciuto almeno 200 brevetti su varietà vegetali ottenute con “miglioramento genetico”, mentre altri mille sono in attesa di approvazione.
Semi antichi
Non solo. La legge del 1971, tuttora in vigore, ha confermato la non commercializzazione di varietà di sementi che non siano state ufficialmente registrate nell’apposito catalogo. E qui nasce il peccato originale: le specie registrate sono solo quelle con caratteristiche specifiche che le rendono adatte alla riproducibilità su larga scala e alla redditività economica.
Tutto ciò che semplicemente non risponde a questi criteri meramente economici, non può essere registrato, indi commercializzato. Cosa è successo in questo modo? Che la biodiversità dei semi antichi si è sempre più appiattita su specie diffuse su larga scala, assistendo alla scomparsa di tutto ciò che era local, ed economicamente non conveniente.
Semi antichi
È anche accaduto che il mercato delle sementi si è consolidato nelle mani di sei multinazionali che controllano da sole oltre il 63% del mercato mondiale dei semi, per un valore che supera di gran lunga gli 11 miliardi di dollari l’anno. Monsanto è il monstrum tra gli attori principi sul palcoscenico dell’agricoltura mondiale. Ma la luna da fissare è altrove.
I sei protagonisti, oltre a Monsanto, sono le americane Dow e DuPont, la svizzera Syngenta e le tedesche Bayer e Basf. Ma entro la fine del 2016 molti saranno i cambiamenti cui assisteremo. Si attende infatti la conclusione della manovra di fusione tra Dow e Du Pont, che creerà un colosso -DowDuPont- dal valore di mercato di 130 miliardi di dollari (la Monsanto ne vale 15, per intenderci).
Semi antichi. 10 domande sul brevetto della vita
Ma anche l’impero d’Oriente si sta affacciando ormai da tempo su questo florido prato verde (o giallo, dipende dalla quantità di erbicidi usati): la ChemChina ha infatti presentato un’offerta d’acquisto irrinunciabile per la svizzera Syngenta. Con queste fusioni il 55% del mercato dell’agro-business sarebbe in mano a soli tre gruppi multinazionali (che insieme alle altre tre sorelle controllerebbero anche il 51% di quello dei pesticidi).
Cosa vuol dire questo? Che questi soggetti, concentrando nelle loro mani le risorse alimentari del mondo, decidono cosa si deve mangiare e chi può mangiarlo. Perché loro modificano, brevettano e vendono semi sterili. In più forniscono i pesticidi adatti a combattere gli attacchi a cui quei semi sono programmati per non resistere. Con santa pace della lotta alla fame e alla povertà nel mondo.
Semi antichi: che fine hanno fatto?
E i semi antichi, o definiti tali, che fine fanno? Almeno per ora sono un baluardo di resistenza al brevetto sulla vita, in mano a chi non vive di agricoltura e a cui è ancora permesso barattarli. Ma non venderli. Sui semi antichi è iniziato un processo di catalogazione, conservazione, custodia e scambio portato avanti da associazioni, organizzazioni e studiosi del genoma mondiale.
Ne sa qualcosa Vandana Shiva, nota attivista e fisica indiana, che da anni si batte per far sì che l’uso libero delle sementi in India resti in mano alla popolazione e non sia brevettabile. Lo sanno ancora gli attivisti di No Patent on Seeds (Nessun Brevetto sui Semi), organizzazione europea che si occupa di bloccare la pratica fraudolenta di brevettabilità dei semi. E con loro tutta la rete di attivisti e privati cittadini che nel mondo e in Europa, stanno portando avanti una campagna di informazione e sensibilizzazione sui semi antichi e sul cibo.
Semi antichi: in Italia?
E in Italia? Ci sono esempi sempre più importanti in questo senso: Rete Semi Rurali è una di queste. Civiltà Contadina ne è un altro fortemente attivo su tutto il territorio nazionale, che coltiva e redistribuisce vecchie varietà di ortaggi italiani. Ci sono progetti che spaziano per tutta la lunghezza dello stivale e principiano dal presupposto che la biodiversità non è né stabile, né omogenea.
Le piante cambiano di anno in anno e a seconda del luogo che le ospita e necessitano di un habitat salubre e del ruolo imprescindibile dei contadini come seed savers. Solo se si è salvatori di semi si potrà custodire quella sovranità alimentare che è garanzia della sopravvivenza di interi popoli.
E non è solo un fenomeno di resistenza da “figli dei fiori”, se iniziative più glamour ruotano intorno ai semi antichi. Ne è un esempio quanto è stato realizzato sulla sky terrace dell’Hotel Milano Scala: con una mission interamente incentrata sull’attenzione al cliente e la sostenibilità ambientale, l’hotel nel cuore di Milano ha voluto realizzare un vero e proprio orto pensile sulla sua terrazza.
Lì si coltivano frutti e ortaggi rari e antichi da utilizzare anche per gli aperitivi. Si va dal pomodoro Sun Black, dalla buccia totalmente nera, al Corsa all’Oro, varietà dall’inconfodibile colore giallo sole. O ancora dalla fragola Bianca di Cuneo o alla Nera Giubilae.
Un esempio chiaro, non il primo, sicuramente non l’ultimo, di una resistenza che si gioca sul tavolo della sovranità alimentare mondiale.
di Tamara Gori