È l’emblema degli erborinati in Italia, uno dei formaggi più antichi di cui si abbia traccia, frutto ipotetico di errore umano o un miracolo di Madre Natura: è il Gorgonzola DOP. Perso nei rivoli nascosti della quotidianità umana e della Storia, si documenta come anche Carlo Magno nel IX secolo, ebbe modo di gustare le prelibatezze piccanti ed intense di un formaggio dalle caratteristiche striature verdi. Ne narra Manzoni ne “I Promessi Sposi”, quando al fuggitivo Renzo, errante nelle campagne tra Milano e Gorgonzola, viene offerto dello “stracchino e del vino”.
La storia e la letteratura non lasciano dubbi: il Gorgonzola esiste da secoli, secondo alcuni dall’anno di grazia 879 (badate…non 1879!) nel paesino in provincia di Milano che gli ha concesso il nome. Per altri invece siamo a Pasturo, nella Valsassina, per secoli grande centro caseario caratterizzato dalla presenza di grotte naturali con caratteristiche irripetibili: temperatura tra i 6 e i 12 °C e umidità costante, tali da garantire la formazione di ceppi nobili di muffe, capaci di stagionare o trasformare i famosi formaggi della zona. I romantici innamorati dell’amore (e noi lo siamo!), magari preferiranno prendere per certa la leggenda che narra di come un casaro innamorato avesse abbandonato per una intera notte il suo formaggio fresco per raggiungere la sua amata e che, tornando la mattina dopo, si fosse disperato nel trovarlo striato di verde, già pronto a gettarlo via tra maledizioni ed improperi. Salvo poi accorgersi…che era buono!
Studia la Storia, mangia il Gorgonzola!
Il Gorgonzola in realtà è stato chiamato così solo in tempi relativamente recenti; negli anni infatti, perlopiù si indicava come “stracchino di Gorgonzola” o “stracchino verde”, perché realizzato con il latte delle mungiture autunnali delle mucche che tornavano stracche (stanche) dalle malghe e dagli alpeggi; solitamente la prima tappa di questa transumanza era proprio Gorgonzola e lì si realizzava questo formaggio dal gusto intenso e dai profumi inconfondibili. Dicevamo emblema degli erborinati (l’erborin, in dialetto lombardo è il prezzemolo), perché di fatto questo formaggio sembra essere tranciato da fili di erbe aromatiche. Ma niente è più lontano dalla realtà: si tratta di muffe, precisamente del ceppo di Penicillium Roqueforti (che non a caso sembra ricordare un altro famoso erborinato dei cugini Francesi, il Roquefort appunto).
L’azione di queste muffe è così intensa da conferire al Gorgonzola non solo venature e aroma, ma anche una trasformazione profonda dei composti chimici e nutrizionali. Il lattosio ad esempio, croce e delizia di caciari appassionati ma maledetti da debilitanti intolleranze, nel caso del Gorgonzola viene letteralmente “digerito” da questi benevoli esserini fungiformi, che lo fermentano in acido lattico, scomponendo anche in parte le proteine del gorgonzola in composti di maggiore digeribilità e assimilazione. Un turbinio di eventi biochimici a carico di questi batteri lattici quindi, accompagnano la maturazione del Gorgonzola e ne caratterizzano la struttura tattile e la differenza gustativa. Si distingue il Gorgonzola Dolce, dalla pasta cremosa e dalla fragranza presente ma meno intensa, dal Gorgonzola Piccante, dall’aromaticità più definita, dalla caustica piccantezza in bocca e dall’aspetto visivo inconfondibile: una pasta sostenuta da una minore componente di umidità e con marcate venature verdi; qui l’inoculo dei lieviti, realizzato attraverso la foratura con grossi aghi di legno stagionato, è davvero importante.
La differenza tra i due è però dettata anche dai tempi di maturazione: nel caso del Gorgonzola piccante si arriva anche a 110 giorni prima di mettere in commercio le forme; oltre questi tempi l’azione delle muffe induce lo sviluppo di una componente amara e di una nota di ammoniaca in prossimità della crosta, che rendono questa eccellenza italiana sgradevole al palato. E a proposito di crosta: è edibile oppure no? Diciamo che quando il gorgonzola era quello “del nonno” o “antico”, a fermentazione naturale, la crosta del Gorgonzola era assolutamente parte integrante dell’alimentazione quotidiana, elemento indispensabile per dare intensità a polente fumanti nei lunghi inverni lombardi. Oggi le tecniche di produzione dell’intera filiera casearia, orientate all’industrializzazione e alla sanificazione dei prodotti, intendono la crosta del Gorgonzola come una sorta di contenitore, alla stregua di un packaging tradizionale, ma di fatto di cui si sconsiglia l’assunzione.
Per il resto, come riconoscere il Gorgonzola DOP? È indiscutibile che sia quello caratterizzato dalla famosa G gocciolante di una pubblicità d’antan, emblema di un marchio tutelato oggi dal Consorzio Tutela Formaggio Gorgonzola DOP, istituito nel 1970 con un ferreo disciplinare che regolamenta la tecnica produttiva e la zona geografica di provenienza. Perché al contrario dell’iniziale comune di riferimento, Gorgonzola appunto, nel tempo l’area si è allargata ai comuni del Milanese, del Comasco e del Novarese. Non a caso Novara è oggi il riferimento DOP di una produzione di Gorgonzola destinata anche a schiere di appassionati buongustai all’estero.
Tedeschi e Francesi soprattutto, entusiasti estimatori di un formaggio che ha contribuito a fare la fama dell’italian food nel mondo; per i Tedeschi in particolare, si realizza ancora il Gorgonzola “a due paste”, ormai pressoché assente dalle tavole italiane a causa del sapore e dell’aromaticità più intensi e realizzato versando sulla cagliata della mungitura serale, quella ottenuta dalla mungitura del mattino successivo.
di Tamara Gori