Oggi si vola, ci attende un tour enogastronomico a Palermo. Il volo sobbalza, quasi a rimembranza di un vecchio Tagadà anni ’90. Fortuna che deve durare solo una mezz’oretta. Il quartiere dove mi attende l’alloggio è Ballarò, quello che ha dato il nome all’omonima trasmissione. C’è sempre un background che condiziona le scelte che si fanno… La multietnia creola, i colori e gli odori, le urla di questi vicoli, sono l’estrazione della calda visceralità di Palermo.
L’aspetto noioso del viaggio si chiude rapidamente: qualche appuntamento, qualche firma, degli accordi che in altri luoghi raramente vengono rispettati; ma qui, quando stringi una mano, le firme diventano effimeri ricami su carta bianca: “il Sud è l’unico posto dove l’uomo incontra l’uomo”. E poi scende la notte, la notte nera. Vengo richiamato dalla mia anima ancestrale, da quell’attrazione compulsiva resa disciplina; ma la brama è brama e la disciplina si annebbia, mentre lo snobismo che ne è derivato no; quello ormai appartiene alla parte animale, un intuito divenuto istinto. Solo chi sente questa “sete” può capire la sua insostenibilità quando si arriva in una nuova terra: un vampiro, ecco la verità dei fatti!
Tour enogastronomico Palermo
Poco importa se come Bela Lugosi o come Toni Bertorelli di Zora la Vampira; l’unica differenza è che loro, gli ematofagi, per godere dell’anelato liquido sono all-inclusive, dotati di lunghi canini. Io, per il mio, devo essere multi-tasking: necessito di calice e cavatappi! Prima tappa, Palermo oggi (più o meno): la prima preda appuntata sull’agenda è nel quartiere della Kalsa (in sicano irrimediabilmente Avusa!) ed è rinomata per la pizza e i calzoni, per i quali non risparmia materie di qualità antica. Ore 19:30. Arrivo e sorrido; nascondo bene e prenoto il tavolo per la cena. E’ ancora presto per la pizza col grano di Tumminia. Ho sete; giro lì nel quartiere che sembra ripetere a voce alta: “sei a Palermo!”.
Si ammazzava per strada qui qualche tempo fa -neanche troppo a dire il vero-, al ritmo di come oggi si stappano bottiglie. Wine Bar Selezione Vini Siciliani, è scritto a caratteri cubitali fuori dalla porta. Mi siedo; la lista che mi si propone è delle grandi aziende sicule, quelle dal primissimo Chardonnay siciliano a tirar via, in un inanellare di bottiglie che conduce sempre più lontano dal mio pensiero di selezione di vini siciliani! Avevo detto vampiro. Cerco le vergini… più o meno. Massacro le proposte industriali, nessun ossequio per i “prenditori” del vino. L’accusa nei miei confronti sarà regicidio -o tirannicidio, il confine è sottile-.
Chiedo un Etna rosso, Nerello in purezza, magari “bio-logico-dinamico-otico”. Arriva un calice denso e compatto, più simile ad un barattolo di marmellata di more che a quello che avevo chiesto; il naso è speziato e legnoso, tanto legnoso… Tento di indovinare il produttore: Geppetto? Soffoco la bestemmia, chiedo la bottiglia: Nerello Mascalese e Petit Verdot. L’alto valore enologico, raggiunto dall’Etna col Nerello Mascalese, ha portato negli ultimi 10-15 anni all’inevitabile moda che anche tutti gli altri grandi vini hanno immancabilmente subito, con conseguente dilapidazione della zona e con i risultati che in effetti sono questi: un Bolgheri mascherato da Etna… Evoco un aulicismo di cui non ho memoria, chiamo il sommelier, pago e vado oltre, verso il ristorante Ciccio Passami l’Olio. E speriamo anche il vino… Tour enogastronomico Palermo, puntata zero!
To be continued.
di Raffaele Marini