Vino di Borgogna: esempio qualitativo e miraggio raggiungibile
Scrivere di vino comporta fatalmente scrivere di vino di Borgogna. Non solo perché in questa regione della Francia centrale risiedono, con ogni probabilità, i vini più importanti al mondo; ma anche perché, per onestà intellettuale, va ammesso che sono l’esempio da seguire anche per noi, che continuiamo a vedere come unico metro di paragone con la Francia, il quantitativo prodotto e non la qualità.
La Borgogna ne è l’esempio emblematico, perché da sempre gioca al ribasso: il sesto d’impianto qui arriva a 10.000 ceppi per ettaro, con una resa di uva per vite che va dagli 800 grammi al chilo. E se queste rese, quasi da bonsai, innalzano sicuramente la qualità del prodotto finale, qui, più che in ogni altra zona del mondo, la Bibbia è il Terroir: consacrata alle vinificazioni mono varietali, questa regione vuole che l’intensità espressiva dei suoi vini evochi incondizionatamente le zolle del Cru di appartenenza.
I Cru di questa regione, selezionati dal lavorio primigenio dei Monaci benedettini cistercensi già dal dodicesimo secolo, regalano originalità e diverse sfumature da clos a clos (da muretto a muretto), anche a pochi chilometri di distanza tra loro. Qui ogni singolo Cru è frammentato tra diversi produttori (ne è un esempio calzante Vougeot con i suoi 50 ettari divisi tra ottanta vignerons) e la dicitura monopole è una vera rarità; esattamente l’inverso di Bordeaux, dove generalmente ogni Chateaux detiene il monopolio sul proprio Cru.
Vino di Borgogna: differenti per forza
Nella patria del terroir i vigneti sono così importanti che sono loro a dare il nome ai villaggi: Corton, Montrachet… E anche in questo la Borgogna è dicotomica dalla non lontana e opulenta Bordeaux, in cui il prestigio dei cru deriva dalla capacità che gli Chateaux hanno avuto di riuscire a fare cassa.
Le aziende in Borgogna prendono quasi unicamente il nome di “Clos” o “Domaine”, anche semanticamente lontani dagli Chateaux della spocchiosa Bordeaux. Qui il talento è il territorio e occhio a dire il contrario: i produttori che vogliono elevarsi ad artisti, pagano lo scotto di essere tacciati di americanizzazione.
La Côte d’Or, essenza della Borgogna, è un lembo di terra di circa 50 km scissa in due: la Cote de Nuits e la Cote de Beaune. Su questi terreni le due uve più utilizzate danno prodotti diametralmente opposti e complementari: immediati e spavaldi gli Chardonnay; elusivi, nobili, ma sfuggenti i Pinot Noir.
In Cote D’Or la classificazione del prestigio dei vigneti, e di conseguenza dei loro vini, è Village, Premier Cru e Gran Cru.
Ma attenzione! Spesso la dicitura non basta o non racconta abbastanza: un Village può stupire molto di più di un Premier Cru o di un Gran Cru, soprattutto nella capacità di corrispondere al suo ruolo primordiale, che è da sempre quello di accompagnare un pasto.
Così come la sola indicazione Borgogna non basta a garantire l’eccezionalità di un vino tout court. A voler essere blasfemi, di produttori e prodotti poco limpidi ce ne sono: la produzione industriale e l’utilizzo disinvolto di prodotti sistemici e fitosanitari hanno interessato anche questa regione; quindi nulla può esser dato per ovviato, tanto meno l’assaggio e soprattutto in virtù di prezzi a volte davvero poco accessibili.
Ma nonostante tutto questo, il cammino eno-messianico dell’appassionato vive la Borgogna come una tappa obbligata della sua esplorazione; e se non riesce a toccarla recandosi fisicamente in Borgogna, prima o poi lo farà di sicuro avvicinandosi in enoteca.
A scoprire chi e cosa della Borgogna? To be continued…
di Raffaele Marini