Zafferano di Volterra. Una realtà inedita e pregiata.
Il suo nome è Smilace. Era una ninfa bellissima e sensuale, eletta nell’Olimpo di Dèi umorali e incostanti. Ribelle e volitiva, si innamorò di Krocus, giovane guerriero, impavido e mortale come tutti gli umani. Un amore ostacolato dagli Dèi che resero i due giovani ossessivi e collerici, tanto da spingere al suicidio Krocus e a toccare la follia pura Smilace. Fu solo allora che la pietà per loro prese il sopravvento e spinse gli Dèi a riservare ai due giovani amanti un destino diverso: Smilace fu trasformata in una meravigliosa Smilax Aspera, dalle foglie a forma di cuore e dai rami spinosi e flessibili, simbolo imperituro di un amore tenace, ma esasperato.
Krocus invece, che aveva altezzosamente osato innamorarsi di una Dea, divenne un fiore viola come la passione superba, ma dal cuore caldo come il Sole: lui sarebbe per sempre stato il Crocus Sativus, il meraviglioso zafferano. Caldo come il lontano Oriente da cui proviene, la sua storia si perde nel tempo infinito. È molto probabile che furono gli Etruschi, popolo di grandi navigatori e commercianti, ad averlo intercettato nei vari scambi con gli abitanti del bacino del Mediterraneo; forse già con i Fenici dalle coste dell’attuale Libano. Portato nella penisola italica, probabilmente prese le vie d’acqua verso Occidente, fino in Spagna, con la quale gli Etruschi commerciavano già in olio e vino. Ma è l’impronta araba quella che ha lasciato i segni indelebili, già dal nome che ripercorre tutta la linea di lignaggio nei secoli. Mentre il nome botanico Crocus deriva infatti dalla parola ebraica karkom, originata e mutuata dal fenicio krakhom, quello comune Zafferano prende le fila dall’arabo jafaran, derivante dal persiano asfar, giallo.
Adoperato in tintoria perfino per tingere le bende destinate alle mummie nell’antico Egitto, veniva esaltato per le sue proprietà in campo medico, religioso e cosmetico. Usato come potente afrodisiaco in Persia, anche nella mitologia greca assunse una potente valenza erotica: il dio Ermes risvegliava il desiderio sessuale degli innamorati servendosi proprio dello zafferano. Nell’antica Roma le spose usavano tingere il velo da matrimonio con le nuances calde dello zafferano, tradizione mutuata fino al Medioevo, in cui le promesse spose erano solite indossare una veste tinta con i pistilli dello zafferano, non solo per le già citate proprietà afrodisiache, ma anche per la valenza di ricchezza materiale e spirituale che veniva attribuita al prezioso fiore. Oggi? L’origine araba della pianta si ritrova nei territori dove si evidenzia la maggiore produzione di questa spezia: l’Iran, la leggendaria Persia, con una vocazione estensiva della coltivazione, realizzata con piantagioni pluriennali, ma anche l’Afghanistan, Paese che ha ritrovato una nuova attitudine agricola proprio nello zafferano.
Zafferano di Volterra. Una realtà inedita e pregiata.
Non è un caso se l’aereoporto internazionale di Herat, nel Kashmir, accoglie i visitatori con una frase emblematica: “Zafferano… il dono più prezioso della provincia di Herat”. E non sfugge la valenza di rinascita sociale di un intero territorio, che si è impegnato a sostituire le vastissime piantagioni di oppio con la spezia del Sole, così costosa da essere quotata fino a duemila dollari al chilo. In Italia sono tante le realtà vocate a questa coltivazione: L’Aquila ne è un esempio emblematico, ma anche l’Umbria, le Marche, l’Emilia Romagna o la Sardegna. E poi c’è la Toscana. Nel Medioevo nel Contado Fiorentino giungevano da ogni dove per potersi accaparrare la preziosa spezia, con documenti che ne danno per certa la piantagione e la commercializzazione fin dal 1200.
Ad oggi, a parte lo zafferano Purissimo di Maremma e lo zafferano delle Colline Fiorentine, la realtà più florida è quella che si concentra nella provincia di Siena, soprattutto a San Giminiano, città floridissima e centro nevralgico di scambi e vie di comunicazione fin dal Medioevo. È qui che passa l’antica Via Francigena attraverso la quale i pellegrini dal Nord Europa giungevano fino alla Città Eterna. Ma questa sempre più assunse le connotazioni di una via europea delle spezie, usata come era per i commerci dello zafferano. E non pensiate che questa fosse una realtà di secondo piano, se è vero come è che nel 1202 era più facile procurarsi denaro contante presso Semifonte, dando in pegno due libbre di zafferano piuttosto che terre e servi. O ancora se i debiti di guerra che Siena doveva a Firenze vennero pagati anche con partite di zafferano. San Giminiano quindi, dove ad oggi è conservato l’esemplare più antico del fiore viola; ma a pochi chilometri anche Volterra ha segnato la sua grandezza.
Documenti storici attestano la coltivazione dello Zafferano di Volterra già nel 1369 e oggi questa realtà ha conquistato una sua collocazione ben precisa. L’azienda agrituristica Il Mulinaccio ha ripreso con caparbietà la coltivazione dello Zafferano di Volterra: coltura intensiva dei bulbi, ripiantati ogni due anni, su una terra lasciata andare secondo quanto natura detta. Raccolta necessariamente manuale all’interno di questa azienda familiare in cui l’accoglienza è un must di toscanità vera, ma al contempo curata e attenta. La lavorazione è intensa e faticosa, seguita manualmente in ogni sua fase anche per l’essiccazione dei pistilli, fino a qualche tempo fa eseguita ricorrendo alla brace, oggi abbandonata per adeguarsi alle direttive europee.
I prodotti finiti, dal pistillo puro ai trasformati alimentari, vengono per lo più utilizzati dall’osteria interna all’azienda e solo in parte destinati alla vendita sul mercato volterrano, che accoglie quasi un milione di turisti ogni anno. Lo Zafferano di Volterra quindi è una delle tante facce della poliedricità di questa città mediavale nel cuore della Toscana, che conserva integra il suo profumo intenso di Storia e l’ elezione per un’agricoltura di qualità.
di Tamara Gori