Introdotto da Giovanni Gioviano Pontano, il termine indica la ripetizione di suoni consimili in una stessa frase in tutte le letterature e in ogni genere di testi. In latino, ad esempio, le possibili citazioni sono tante: Homo homimi lupus, Omnia munda mundis, Per saecula saeculorum, Similes cun similibus; e in italiano è facile ritrovarne esempi in frasi fatte (“di riffe o di raffe”, “volente o nolente”), in proverbi o negli scioglilingua (“trentatré trentini andarono a Trento, tutti e trentatré trottando”). Il nome di questo artificio retorico fu dato da Pontano volendo con tale tecnica designare una risorsa della versificazione germanica; intesa genericamente come « retours multiplés d’un son identique» (Dupriez), ha soltanto la funzione di rafforzare la semantica del testo, mettendo in risalto la presenza di alcuni vocaboli (teoria, questa, sostenuta da Jacobson e dai formalisti russi).
Questi versi di Alessandra Berardi (in Patate su Marte. Una storia (g)astronomica, Edizioni d’if, Napoli, 2002, pp. 32-33), sono il risultato di una serie di allitterazioni.
Frullato di luce
Ho catturato un’infinità di raggi di luci diverse,
grazie agli specchi radiosi e radianti.
Nella bibita ci trovi:
aroma naturale di aurora boreale,
arcobaleno spremuto in un baleno,
fiammelle candite di candele fiammanti,
albume di alba d’Albania,
mezzo chilo di mezzogiorno,
un po’ meriggio,
trentatré tramonti trentini,
un pizzico di sole,
alcuni raggi di questi paraggi,
fasci di fari dei sette mari,
pepite pelate e pepate,
animelle di cartoni animati,
scie di lucciole per lanterne,
un sacco di succo di stelle…
e per finire:
lampi, lampioni, lamponi.
Un frullato di luce…
Che idea luminosa!