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Elogio della polpetta

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La domanda dello studente ieri è stata secca ma in grado di farti perdere l’equilibrio mentale conquistato in tanti anni di riflessione.

Che cosa è per lei la creatività?

Hai sempre creduto di saperlo, ma ora devi rispondere e la mente, che fino ad un momento prima correva, si ferma. Mannaggia, mamma, perché mi hai mandato a studiare scienza. Se fossi stato un politico avrei iniziato a rispondere anche non sapendo cosa dire, invece io ho imparato che “non lo so” è una risposta. Chiara, semplice e che lascia intendere all’altro che ci avresti pensato in seguito, che avresti scavato nel tuo archivio mentale e non alla ricerca di nuove fonti e di nuove relazioni. Ma l’altro, oggi, vuole una risposta, immediatamente, perché subito è meglio che bene.

Deve essere una dannata deformazione delle chat on line dove vince il primo che arriva e non quello che ha ragione.

Intanto la mia mente era sempre ferma sullo stesso punto. Allora, ha cominciato a passare in rassegna le risposte date da quelli davvero bravi. Einstein pensava che la creatività fosse legata all’angoscia, fosse una sfida nei confronti del buio che il pensiero dipana come la luce del giorno che avvolge le cose invisibili di notte. Mi sono passate davanti le chiacchierate a cena con Dario Fo durante le repliche del Caravaggio e il suo invito ossessivo: “Aldo, se sei in crisi, cambia il punto di vista e tutto apparirà più chiaro”. Intanto lo studente era in attesa, e anche se sembra lunga, tutto questo avveniva nel tempo di una pausa, i pensieri viaggiano ad una velocità inimmaginabile nel mondo reale.

Ho pensato ad un nostro antenato di qualche centinaio di migliaia di anni fa, che si muoveva su una terra che almeno superficialmente era a lui più nota di quanto non sia a noi stessi quella su cui camminiamo ed ho pensato a quante volte deve aver guardato la luna con stupore e paura. La luna, cos’è? Un giorno c’è, un altro no, appare tonda, poi si piega e diventa una strana forma ricurva. Cosa sarà?

Aveva imparato ad arrampicarsi, il nostro antenato, ma fino alla luna non sarebbe mai potuto arrivare. A lui bastava arrivare a cogliere i frutti del melo che erano molto gustosi da mangiare. Aveva anche scoperto che quei frutti quando sono maturi cadono da soli e anche senza arrampicarsi li si possono raccogliere e mangiare. Nessuno sa per quante centinaia di migliaia di anni l’uomo, sempre più evoluto sempre più “sapiens” abbia continuato a guardare la luna e a mangiare la mela fino a che due signori: Galileo Galilei e Isaac Newton, che non si sono mai conosciuti ma che hanno avuto una enorme influenza su di noi, osservando le stesse identiche cose, hanno scoperto che la luna si muove per lo stesso motivo per cui la mela cade. Ecco cosa penso sia la creatività, guardare quello che tutti hanno visto e riuscire a pensare quello a cui nessuno aveva pensato prima. Newton, dopo aver raccontato al mondo delle due leggi che mettevano insieme la luna e la mela, dichiarerà di essere riuscito a guardare lontano avendo potuto appoggiarsi sulle spalle di un gigante. Parlava di Galileo.

Ho risposto così. Non so se me la sono cavata, ma ora mi assale un dubbio: se la creatività fosse solo appannaggio dei Newton o degli Einstein io che faccio?

Nemmeno a farla apposta, lo stesso giorno ho sentito una amica che si lamentava di un convegno noioso al quale aveva partecipato. Aveva appena spento il monitor e affermava trattarsi del solito trito e ritrito. E NO! Questo è un oltraggio, una menzogna, una mistificazione della storia, è una forma di razzismo dichiarato nei confronti di tutta una cultura popolare che alimenta simboli universali. Blasfemo anche volessimo leggere approfonditamente le parole di Marco nel Vangelo.

Il seminario sarà anche stato noioso, non lo metto in dubbio, ma ritrito no, basta dire che con il ritrito si prepara la polpetta, non cibo, ma “segno”, oggetto, idea e concetto delegato a rappresentare la possibilità di riutilizzare qualsiasi cosa non si sia mangiato o si sia messo da parte. La polpetta è una filosofia il solo fatto di poter impastare il passato aggiungendo un ingrediente disponibile impastato ad arte che aggiorna il sapore la assimila al processi di conoscenza secondo Kant. Tre ingredienti: sensibilità, intelletto e ragione fusi fusi in una mutua relazione che genera quanto di più elevato l’uomo abbia potuto immaginare di costruire con la sua mente. Conoscere, appunto, non faccio lo storico della Filosofia, ma non nutro alcun dubbio su cosa il grande filosofo tedesco abbia potuto mangiare il giorno in cui ebbe questa intuizione. La polpetta è una delle manifestazioni più sottovalutate della evoluzione dell’uomo. Non so se sia vero o no, ma il sapiens deve averne confezionata una appena conscio del suo stesso essere tale.

Il mondo si riunisce oggi intorno a scuole di pensiero e gruppi economici basati sulle capacità di recupero degli scarti e nessuno pensa che la polpetta è in sé, una teoria da far invidia alle più avanzate scuole economiche del mondo e contemporaneamente un laboratorio di creatività di fronte al quale quelli di Strehler potrebbero arrossire. Per non parlare della sua valenza simbolica nel mondo politico, sociale e inter religioso.

Simbolo Universale, la polpetta non conosce casta o censo, si vanta dell’apprezzamento incondizionato di intellettuali e classi popolari, non conosce religioni e si pratica in ogni etnia. La sua universalità è resiliente, è immaterialità che appare, la polpetta è epifania, rivelazione della carne. Non ha una ricetta, altrimenti sarebbe cibo banale, non ha nessuna materia prima definita o esclusiva; che sia di carne, di pesce, di verdura, di legumi, esiste di quello che c’è alla latitudine di produzione e di consumo. La polpetta semplicemente è. Occorre che si studi più a fondo di cosa si nutrisse Parmenide, i suoi scritti sull’essere mi lasciano il sospetto che ne fosse ghiotto.

Nessuno può averla scoperta, nessuno la può brevettare. La polpetta non ha padrone. Nessuno sa quando sia nata. Di una cosa mi sento certo: è nata dopo la capacità dell’uomo di dialogare. L’impasto, l’abilità, la lavorazione, il gesto stesso è fatto di pensiero e di dialogo. Si aggiunge qualcosa, si rimpasta, si racconta, e se si fosse da soli allora si pensa e la cosa non cambia.

Di fronte alla polpetta non esiste mai “quello che ti manca” quello che hai è “abbastanza”, nel senso che la polpetta basta a se stessa, è un rito, è culto, è un modo di trasformare la materia attraverso l’idea, la sensibilità e il gesto. La tanto celebrata “innovazione” dovrebbe avere la polpetta come simbolo, perché la polpetta è metodo.

La polpetta è imprevedibile. Andare a mangiare la polpetta è una esperienza non codificabile a priori. Qualsiasi sia l’abitudine passata, la polpetta sarà un nuovo sapore. Anzi, di più, la polpetta riesce a mettere insieme le abitudini e le tradizioni che sono cose che troppo spesso confondiamo

La polpetta è il vero segno della integrazione. Comunque la si faccia, i componenti originali saranno indivisibili alla fine, integrati in un nuovo tutto, diverso, più avanzato, insostituibile, unico, nuovo. Per questo Matteo, nel suo straordinario Vangelo, ricorda come Cristo usi, a mo di parabola, il sale e l’impasto come segni universali di comprensione e di convivenza. “abbiate sale di voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri…. E chi ha orecchio ascolti”. 

La polpetta è coscienza critica, è critica della ragione. Nella parola “critica” c’è lo stesso etimo di crisi un termine che dalle nostre parti ormai ha assunto un significato negativo e che invece non lo aveva affatto quando il suo progenitore krisis veniva usato nella antica Grecia, anzi la sua accezione era addirittura positiva. Invocava un giudizio che avveniva separando i problemi dalle conseguenze. Persone con una forte coscienza critica, in grado di giudicare operando razionalmente oggi sarebbero un peso per una politica che cerca consenso aprioristico, che considera offese le critiche. Ecco perchè crisi è diventato un termine negativo ed è in uso la pratica della polpetta avvelenata. Che peccato! Quando vivi di intrighi il meglio che c’è diventa veleno.

La polpetta è globalizzazione, non perché la si produce e la si mangia in tutto il mondo, sarebbe facile e banale, ma perché non impone se stessa agli ingredienti e attraverso questo conquista il mondo proponendo a ciascuno una nuova dimensione di “insieme”. La polpetta riesce a nutrirsi della culture altrui per nutrire a sua volta e prepararsi a cambiare. Dovremo riflettere di più e meglio su questo gioiello della evoluzione. Partire dall’arte Greca, assorbire gli influssi Ellenistici, diventare Roma e incontrare l’Oriente, gli Arabi, insaporire la Chiesa, trasformare quella stratificazione in un nuovo laboratorio e gettare le basi della modernità, dei diritti, degli stati. L‘Europa è la più bella polpetta mai fatta se solo ce ne accorgessimo.

Buona polpetta a tutti!


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