di Fabrizio Mangoni
Ogni tanto, nella storia della gastronomia, s’incontrano ricette che rappresentano una svolta epocale. È il caso di questi Pomidori all’Italiana descritti nel ricettario “Del Cibo Pitagorico, ovvero erbaceo, per uso di Nobili e de’ letterati” di Vincenzo Corrado, pubblicato nel 1781 a Napoli.
Pomidoro all’Italiana
Levata via la pellicola alli Pomidoro, e divisi per metà se ne cavano i semi, e si riempiono con un composto di altra polpa di Pomidoro, trita con un senso d’aglio, acciughe e petrosemolo, origano, sale e pepe. Ripiene si dispongono in una Tortiera tramezzati e coperti di pan grattato, e spruzzati di olio; così si fan cuocere al forno, e caldi si servono sopra coste di pane.
Perché, nella sua semplicità apparente, questa ricetta rappresenta una novità? Innanzitutto perché nel ricettario di Vincenzo Corrado il Pomidoro si riscatta dal pregiudizio che lo aveva accompagnato per quasi duecento anni. Dal suo arrivo in Spagna dal Nuovo Mondo, quasi subito dopo la scoperta di Colombo, per molto tempo è stato considerato un alimento pericoloso, per colpa dei suoi parenti. E già, nella famiglia delle Solanacee cui, non per colpa sua, il Pomodoro appartiene, ci sono molte piante velenose, come la Datura o la Belladonna. Quindi medici e botanici lo hanno subito guardato con sospetto, relegandolo al ruolo di pianta ornamentale, magari proponendolo come un omaggio a belle signore, come fosse un mazzo di fiori, raramente come un farmaco da prendere a piccole dosi.
Ad essere sinceri, un po’ di veleno il pomodoro lo porta nelle sue foglie, ma basta levarle, come facciamo noi prima di cucinarlo. Per la prima volta, nel ricettario di Corrado, compaiono ben quattordici ricette a base di pomodori. C’erano due soli precedenti del secolo prima. In Spagna Altemiras ci racconta come conservarlo e, a Napoli, Antonio Latini ci descrive una Salsa di Pomidori alla Spagnola, per condire bolliti di carne. Ma ci si limitava alle salse. Vincenzo Corrado invece propone finalmente elaborazioni complesse con questo meraviglioso ingrediente.
Attenzione! Non dobbiamo immaginare queste ricette dominate dal colore rosso. Il pomodoro delle origini, ancora alla fine del Settecento era giallo zafferano, da cui il nome Pomo d’oro. Anche se di lì a qualche anno il pomodoro giallo avrebbe fatto posto a quello rosso; già da una decina di anni un pomodoro regalato dal Re del Perù al Re di Napoli, veniva coltivato nella pianura del Sarno.
Il primo espediente che adotta Corrado è quello di riempire il vegetale con una farcia. E questa è la più semplice, armonica ed equilibrata che potesse inventare. Il pomodoro si riempie di un sé stesso aromatizzato all’aglio, prezzemolo e origano che, da allora, saranno i suoi compagni ideali, con l’aggiunta di pezzi di acciuga dissalata. Viene spellato per aumentarne la digeribilità e passato al forno ricoperto di pan grattato per dargli consistenza.
Pomodoro all’italiana
Perché quel titolo all’Italiana? Per quello che ne sappiamo è la prima ricetta di pomodoro farcito in questo modo. Corrado poteva chiamarla come voleva. Penso che in questo titolo ci sia una ragione che richiede una piccola digressione dal nostro racconto. Vincenzo Corrado era innanzitutto un intellettuale, molto colto, sensibile alla cultura del suo tempo, specie di quella francese.
Nel titolo Cucina Pitagorica riecheggia la cultura vegetariana propugnata dagli illuministi francesi e il ritorno alla natura di Rousseau. Ma Vincenzo Corrado operava a Napoli nel palazzo Cellamare del Principe di Francavilla. Il Principe dava delle feste grandiose nei giardini della sua dimora. Collaborava, nelle cucine, con Francesco Leonardi, grandissimo cuoco che cucinerà persino per Caterina di Russia. Allora regnava Carlo III, che aveva portato a Napoli cuochi e cultura gastronomica francese. Ma quel Re illuminato, aveva anche avviato grandi riforme agrarie, che avevano portato nelle cucine reali prodotti non conosciuti nei ricettari francesi, a partire dal pomodoro, ma anche i maccheroni nelle loro varie forme, e una grande varietà di cavoli, torzelle e verze, molti tipi di frutta. Nel palazzo del Principe di Francavilla si facevano feste memorabili, e in quelle cucine si sperimentava piano piano una sorta di “napoletanizzazione” della cucina francese. Restavano i nomi come sartù, culì, fricandò, fricassè, ma la sostanza, il contenuto e i sapori cambiavano. Pur essendo una ricetta inventata da lui a Napoli, la chiamerà all’Italiana, forse proprio in contrapposizione ai piatti “alla Francese”.
Corrado e le ricette con pomodori all’italiana
Dobbiamo anche ricordare che, in quegli anni, in Francia si faceva strada una cucina d’ispirazione illuminista, che poneva grande attenzione alle cucine delle diverse nazioni. Nel Les Dons de Camus stampato a Parigi nel 1763, quasi un manifesto della cucina dei Lumi, ci sono moltissime ricette “all’Italiana”. D’altronde, un po’ di anni dopo, proprio Leonardi, di ritorno dalla Russia e forte di una grande scuola di cucina internazionale, scriverà un ricettario di ben sei volumi che chiamerà: “L’Apicio Moderno”, intendendo con quel nome di riallacciare un filo con una cultura nazionale risalente all’antica Roma.
Corrado prevede molti altri riempimenti dei sui pomodori: con crema di uova e burro, con erbe odorifere e bottarga. Nel libro si descrivono anche tre interessanti ricette dove il pomodoro viene fritto. Quella dei pomodori “Farciti alla turca”, dove si riempiono di riso cotto nel latte e amalgamato dalle uova, e qui si richiama il sapore del budino di riso arabo. Poi i pomodori, infarinati e passati nell’uovo, vengono fritti ottenendo una sorta di arancini croccanti. Analogamente i pomodori vengono fritti, dopo essere stati riempiti di carne di aragosta, acciughe e pistacchi, o con una farcia di pesce e acciughe e odori.
Infine, tra le fritture, va citata la fantastica Crocchetta di pomodoro. I pomodori sono tagliuzzati e soffritti nel grasso del prosciutto, mescolati alla ricotta (secca e grattugiata, ovviamente) e amalgamati con un po’ di uova. Bisogna raggiungere una consistenza tale da poterne formare dei bastoncini che vengono infarinati, passati nell’uovo e fritti. Non manca la semplice frittata con i pomodori.
Molti “vegetariani puri”, che pure avranno mal sopportato la cottura in grasso di prosciutto, proposta in qualche ricetta da Vincenzo Corrado, inorridiranno davanti al piatto dei Pomidori alla Nobile e a quelli Farciti in frittura.
Nel primo, i pomodori sono riempiti con un composto di petti di pollanche arrostite con grasso di vitello, pinoli, uova e cannella e poi fritti. Nel secondo, sono fritti dopo aver accolto il midollo di bue. Nell’introduzione al suo volumetto, Corrado spiega che i vegetali “danno al corpo il nutrimento più sano e facile”, ma è anchevero che “non tutti i vegetabili dei quali se ne prevede qui la preparazione, sono li più perfetti e giovevoli al nutrimento e alla moda presente delle Tavole”. E quindi, talvolta, accompagna le preparazioni con sughi di carne, latte e burro per venire incontro al gusto del suo tempo e per correggere qualche difetto del vegetale in cottura. Grande studioso dell’agricoltura, Corrado ha viaggiato ed esplorato i campi della Puglia e del Regno di Napoli; ha anche scritto un saggio sull’apicultura e sui bachi da seta. Da gran conoscitore dei prodotti della terra, di ogni vegetale descrive le caratteristiche e le adatta alla loro cucina.
Questo rispetto della natura propria dell’ingrediente è di una modernità assoluta. Va ricordata infine la più monumentale delle preparazioni al pomodoro, che certamente faceva la sua figura al centro della tavola da pranzo di Palazzo Cellammare: il Budino di Pomodoro. È una crema di pomodori soffritti, pane spugnato, panna, cedro candito, formaggio e uova, addensata in stampi decorati e architettonici.
Le ricette di pomodori di Vincenzo Corrado col tempo si diffonderanno nel resto d’Italia; inizialmente era mangiato solo in Spagna, nel Regno di Napoli e in Provenza. Verrà sdoganato nelle grandi cucine europee dopo la Rivoluzione Francese, quando i Marsigliesi, oltre a portare l’inno, faranno conoscere i pomodori a Parigi.
Insomma questo immigrato dal Nuovo Mondo, ha faticato non poco a farsi accettare, e come dice Pablo Neruda: “… senza ossa, senza corazza, senza squame né spine, ci offre il dono del suo colore focoso e la totalità della sua freschezza”.
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