La TV in Cucina / La Cucina in TVIl sartù di riso sciuè sciuè

Il sartù di riso sciuè sciuè

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E’ da tempo un fenomeno ormai radicato nelle abitudini degli italiani: la mattina, a pranzo, la sera, la notte girando il telecomando si scoprono tavole imbandite, gare tra aspiranti chef, “verbo” degli stellati come anche ramanzine verso i poveri concorrenti.  Però mai una nota sugli ingredienti come se un cibo per essere buono deve solo essere cucinato qualsiasi esso sia (magari sponsor del programma).

Però. C’è un però: meno male che ci sono perché solo notizie sul Covid ci stressano troppo. Tutti a casa ma anche con un po’ di leggerezza!  

Così mi accade spesso di guardare la tv in cucina mentre preparo qualche manicaretto. Non sono una cuoca né sono una chef, mi piace cucinare a modo mio i piatti che ho visto preparare da nonna Emma. Aveva gli occhi blu cobalto che ridevano, aveva le labbra a cuoricino, aveva tanti capelli biondi morbidi e legati con una crocchia sempre in ordine che le guarniva il viso. Non l’ho mai vista in vestaglia. Ho imparato da lei che in casa si stava eleganti come quando si usciva per spese o per andare a prendere il the con le amiche da Roso e Nero, sul lungomare di Napoli. Non guidava la macchina, prendeva il “mezzo” pubblico, camminava svelta. Aveva una bella cucina che affacciava su un giardino, era molto ordinata e organizzata. Si metteva la “parannanza” per non sporcarsi. Faceva gli spaghetti sciuè sciuè o il sartù con la stessa allegria. Si muoveva veloce tra il tavolo di marmo, i fuochi e il lavandino mentre io ero seduta su una specie di sedia da bar, alta perché riuscissi a vederla. Non mi faceva toccare niente ma assaggiare tutto specialmente il pane imbevuto nella pentola del sugo mentre sobolliva.  Provavo a rubare le polpettine del ripieno del sartù e faceva finta di non vedermi, la sera della vigilia rincorreva le anguille che le scappavano di mano e rideva. A me facevano impressione e non le ho mai mangiate! A volte studiavo mentre lei preparava la cena e mi chiedeva di ripetere ad alta voce per farle compagnia. Succedeva di rado che mamma mi lasciasse dalla nonna ma spesso  andavamo a cena da lei  o la domenica per il pranzo di famiglia. Per mio padre cucinava con un amore speciale che io ho sentito forte e ho imparato a fare lo stesso per mio figlio. Tutto viene più buono se ci metti amore mi diceva. Ed era vero o almeno a me pareva fosse vero. Poi improvvisamente si sedeva vicino a me e tutto era pronto. Andiamoci a preparare, è ora di mangiare. Aveva l’orologio nel cervello, una valutazione dei tempi impressionante. E una grande calma. Si divertiva.

Napoli, via Toledo, anni 60
Napoli, via Toledo, anni 60

Anch’io mi diverto quando preparo leccornie per mio marito, quando sta per arrivare Gabriele da Padova (non si accontenta degli spaghetti sciuè sciuè) o quando Massimo e Matilde irrompono in cucina con gli occhi sgranati e mi dicono nonna ho fame e con le piccole dita toccano quello che trovano sul tavolo! Ed io ho sempre una sorpresina nascosta come faceva il nonno quando mi prendeva per mano e mi portava in camera da letto per vedere se l’uccellino aveva lasciato una cosa buona per me!

In tutte le case che ho fatto nella mia vita di architetto ho sempre disegnato cucina grandi, con un tavolo al centro. Un cuore pulsante dove si cresce e si impara. Poi una giorno a Pechino sono stata invitata da un ricco signore a casa sua e facendomi fare il giro per ammirare il design italiano  ha aperto una grande porta e mi sono trovata davanti una enorme cucina. Senza tavolo, senz’anima, bella ma gelida. E lui candidamente mi ha sussurrato che loro non la usano mai. Il cibo lo comprano già cucinato ma una bella casa deve avere una bella cucina! Nonostante fosse davvero bella e tecnologicamente  avanzatissima con tutte le diavolerie possibili ben sistemate non mi è venuta alcuna voglia di cucinare! Forse nonna Emma si sarebbe messa la parannanza e avrebbe cucinato cibi eccelsi con il cinese esterrefatto e incredulo. Ma forse nonostante questo lui avrebbe continuato a comprare cibi cucinati.

La cucina è cultura e la cultura non si compra.

Il sartù di riso sciuè sciuè

E’ inziata una nuova serie  “Vivi e lascia vivere” con Elena Sofia Ricci e la regia di Pappi Corsicato. La prima puntata è stato un successo con oltre 7 milioni di telespettatori.

E’ la storia di Laura, una donna che a un certo punto della sua vita si trova in grandi difficoltà economiche per via di un marito morto (?) e di tre figli in età “difficile” ma che nel corso della storia, tra alti e bassi, riuscirà a rialzarsi. E’ girato a Napoli ma è una Napoli che non si vede, è una location anonima contrariamente, ad esempio, alla serie I bastardi di Pizzofalcone con Alessandro Gassman protagonista. Lì c’era una Napoli molto caratterizzata, da alcuni criticata perché troppo bella, “ di lusso”.

Sarebbe da capire come mai un napoletano come Pappi Corsicato sembra si vergogni della sua città, non vuole raccontarla, la casa di Laura potrebbe stare in qualsiasi città, la famiglia potrebbe essere di qualsiasi regione italiana. Niente napoletanità, e questo potrebbe essere positivo dopo l’overdose de l’Amica Geniale, ma salvo qualche inquadratura di sfuggita del golfo e del Vesuvio e qualche fotogramma ( probabilmente utile ai tagli) di piazza San Pietro e Paolo  e della Reggia dell’atmosfera di Napoli non c’è nulla. Almeno nella prima puntata.

La presentazione dei personaggi è un classico. Laura nasconde un segreto, le sue amiche sono personaggi poco caratterizzati, i tre figli hanno reazioni quasi indifferenti alla notizia della morte del padre in un incendio a Tenerife. Le loro vite continuano secondo le solite modalità: le due figlie femmine continuano nel loro trantran: la prima , Giada, cerca lavoro per pagarsi il master e finisce in un locale ambiguo dove la sera balla per solleticare gli uomini, la seconda, Nina, continua a rubare nei grandi magazzini con 2 amiche chiaramente succubi, il figlio Giovanni gioca a pallanuoto con un certo successo. Vedremo come e se le loro storie si evolveranno nel corso della storia.. 

Anche qui il luogo centrale della casa dove si dipana la storia è la cucina o di casa o di una mensa dove la protagonista lavora. Cibo quindi con un invitato eccellente, un mito della cucina napoletana: il sartù   Ai regnanti non piaceva il riso, era considerato cibo per malati adottato dalla scuola Salernitana di Medicina. Aveva più successo la pasta fino a che la regina Maria Carolina lo introdusse a corte con l’aiuto dei Monsù, i cuochi francesi di corte. Ogni famiglia a Napoli ha la sua ricetta segreta ed anche la protagonista l’ha imparato dalla suocera. Sartù viene dal francese Surtout, un timballo di riso con dentro (o sopra) tante leccornie. La nostra protagonista usa uno stampo con il buco in cui mette le polpette al sugo e lo guarnisce alla base con i piselli. Tutti osannano la bontà del sartù di Laura ma, non vedendo l’interno e non potendolo ovviamente assaggiare si direbbe una ricetta sciuè sciuè. Il sartù sarà poi il vero protagonista delle puntate seguenti e la chiave per Laura di svoltare.

Elena Sofia Ricci interpreta Laura in una chiave da commedia drammatica ma quando sorride ritroviamo la Elena che ci piace quando gli occhi si uniscono alle labbra e ci regala un sorriso contagioso.

Ricetta del sartù sciuè sciuè

Il sartù di riso è un piatto che ha bisogno di tempo e di una spesa accurata. Di solito ci metto due giorni, non solo perché è lungo da preparare ma anche perché così gli ingredienti hanno tempo di insaporirsi.

Ricetta Sartù – Ingredienti

  • Riso carnaroli 1Kg
  • Parmigiano grattugiato 500gr
  • Sugna 100gr
  • Olio extravergine di oliva Tuscus Dop Tuscia
  • Lardo 50gr
  • Sedano 3 gambi
  • Carote 2
  • Cipolle 4
  • Pancetta 200gr
  • Prosciutto crudo 100gr
  • Pomodori da sugo 1Kg e mezzo
  • Vino rosso 1 bicchiere
  • Prezzemolo 2 ciuffi
  • Alloro 2 foglie
  • Salsicce (cervellatine) 3
  • Manzo 500gr
  • Maiale 500gr
  • Fegatini di pollo 2
  • Funghi porcini 30gr
  • Piselli 250gr
  • Brodo vegetale
  • Carne tritata 300gr
  • Uova 3+1 tuorlo
  • Latte
  • Fiordilatte 300gr
  • Farina

Stasera comincio con il ragù e domani lo finirò. In una casseruola metto 2 cucchiai abbondanti di Tuscus Dop Tuscia, un olio extravergine d’oliva che contribuisce con il suo sapore e il suo profumo alla riuscita di questo piatto. Aggiungo una noce di sugna (o strutto in italiano) con sedano, carote, cipolle, lardo, pancetta e prosciutto crudo, tritati tutti insieme. Ci si può mettere anche l’aglio, ma a me non piace. Comincio a far rosolare a fuoco lento  e poi aggiungo le cervellatine che in italiano sono delle salsicce lunghe e sottili  chiamate luganiche, la carne di manzo e di maiale, fino a che la rosolatura arriva al punto. Aggiungo un bicchiere di vino rosso, alzo il fuoco e faccio evaporare. Abbasso di nuovo la fiamma e aggiungo i pomodori, metà passati e metà schiacciati con la forchetta, senza semi, senza buccia e senza liquido, che però tengo da parte. Prima dei pomodori, si può anche mettere un po’di concentrato di pomodoro.  Metto il coperchio lasciando la cucchiaia a fare da spiffero, e lo dimentico sul fuoco, girando solo di tanto in tanto. Dopo un paio d’ore levo le salsicce, che una volta fredde taglio a rondelline per fare l’imbottitura, e aggiungo il sale.

Per l’imbottitura comincio dai fegatini di pollo, ormai difficili da trovare. Se sono fortunata prendo quelli di capretto o di abbacchio. Li pulisco e li metto in un padellino con una noce di sugna e li faccio saltare interi, con una foglia di alloro, per qualche minuto, perché cuociono subito. Una volta freddi li taglio a pezzetti e li metto in un coppetta insieme alle salsicce. Metto a bagno i funghi porcini e quando si sono ammollati li cuocio fino a che non diventano teneri. Poi li scolo conservando l’acqua, li lascio raffreddare, li taglio a listarelle e, con la loro acqua, li aggiungo alle salsicce e ai fegatelli. Metto la pancetta tagliata a dadini piccoli con la cipolla tagliata fine in una padellina con extravergine e un cucchiaino di sugna. Faccio rosolare e aggiungo i piselli, giro bene e copro di brodo vegetale. Lascio cuocere controllando la cottura di tanto in tanto. Devono restare umidi, ma non brodosi. Preparo le polpettine, piccole come la falangetta del dito mignolo, con carne macinata (metà manzo e metà vitello), uova, parmigiano, sale, pepe, prezzemolo tritato fine, amalgamando bene e ammorbidendo, se necessario, con un po’ di latte. Con le mani bagnate, infarino le polpettine e le friggo in olio bollente. Una volta scolate sulla carta di pane e raffreddate, le unisco al resto dell’imbottitura, compresi i piselli. Controllo il ragù che deve sobbollire, facendo attenzione che non si addensi troppo. In tal caso, aggiungerò l’acqua dei pomodori che ho tenuto da parte. La consistenza dev’essere tale da non sbrodolare fuori da un cucchiaio da cucina. Quando è pronto, spengo il fuoco e lo lascio riposare fino all’indomani. Prima di lasciare la cucina, taglio a dadini il fiordilatte e li metto in frigo per asciugare il latte.

A seconda se è per pranzo o per cena, mi regolo con due ore di anticipo per completare la preparazione del sartù. Per prima cosa metto un mestolo di ragù nell’imbottitura, mescolo e faccio intiepidire sul fuoco. Tiro fuori dal frigo il fiordilatte. Prendo uno stampo rotondo, a mezzo cono di diametro di circa 20cm e di altezza di circa 15 cm senza buco, lo imburro bene e lo impano, facendo attenzione che la superficie sia ben coperta di pan grattato, altrimenti si rischia che resti attaccato quando si gira. In una pentola larga verso l’acqua dei pomodori, due o tre mestoli pieni di ragù e dell’acqua del rubinetto, regolandomi a occhio sulla quantità necessaria per cuocere il riso, che aggiungo. Accendo il fuoco, metto il sale e lascio cuocere per un quarto d’ora a fuoco basso, con il coperchio e senza mai girare. Spengo e lascio riposare. Deve rimanere lento perché al forno si asciugherà. Quando il riso è tiepido aggiungo le uova sbattute (2 intere e 1 tuorlo), il parmigiano, il prezzemolo tritato e controllo il sale. Giro bene e metto metà del riso sul fondo dello stampo, facendo attenzione a risalire leggermente lungo i bordi, in modo da fare una specie di “culla” per contenere l’imbottitura. Aggiungo l’imbottitura e il fiordilatte, uno spruzzo di parmigiano e qualche cucchiaio di salsa. Copro con il resto del riso, pigio con le mani umide, cospargo di pane grattato e metto qualche fiocchetto di sugna o di burro. Inforno, nel forno già caldo, e lascio cuocere, controllando che arrivi a doratura. Per avere la doratura sul fondo e sui lati, oltre che sopra, cuocio prima con la sola griglia di sotto, poi con tutte e due le griglie e gli ultimi dieci minuti solo con la griglia sopra. Nel complesso, il tutto deve stare in forno circa un’oretta. Quando è pronto lo tiro fuori e lo lascio immobile a raffreddare. Se lo muovo prima che si compatti potrebbe sbriciolarsi. Al momento di girarlo sul piatto di portata prendo un canovaccio bagnato e ben strizzato, lo avvolgo intorno allo stampo lasciando un lembo sul fondo. Quando il canovaccio si è intiepidito lo giro sul piatto di portata, dò qualche colpetto sopra e di lato e poi… che Dio me la mandi buona!

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