di Fabrizio Mangoni
Ci sono riti sociali cui è difficile sottrarsi. Tra questi c’è la festa di matrimonio, sia da protagonisti che da spettatori. Come spettatori ne faremmo volentieri a meno; grandi abboffate, ore seduti, bambini urlanti e poi: la torta nunziale. Quando è buona è scema, quando è splendente è stucchevole. Gli sposi tagliano insieme la prima fetta e non sanno che quel taglio attraversa il loro destino. Sono da sempre convinto che nella Torta Nunziale è contenuto in nuce il futuro degli inconsapevoli sposi.
Per riconoscere il rapporto più emblematico tra torta e destino del matrimonio dobbiamo spostarci nell’Ottocento. È descritto nel romanzo Emma Bovary di Gustave Flaubert. Se l’autore dedica molte righe alla descrizione della torta una ragione ci sarà pure!
Da Madame Bovary di Gustave Flaubert.
La base era costituita da un cartone quadrato azzurro, raffigurante un tempio con portici, colonnati, statuette di stucco disposte tutto intorno in nicchie costellate di stelle di carta dorata; al secondo ripiano v’era un torrione di pasta di savoiardi circondato da minute fortificazioni di angelica, mandorle, uva passa, spicchi d’arancia; infine sulla piattaforma superiore, costituita da un prato verde con rocce e laghi di marmellata ove navigavano barchette di gusci di nocciole, un Amorino si dondolava su un’altalena di cioccolata i cui pali di sostegno terminavano con due boccioli di rose fresche poste lì sopra a guisa di pomoli.
Ho deciso quindi d’incontrare e intervistare quella sposa. Non è stato facile avere un appuntamento con Emma Bovary. Aveva chiesto la mia età, da dove venivo, se amavo la poesia; poi si erano cercati vari luoghi per l’incontro. Alla fine, anche per l’argomento dell’intervista che avevo dovuto anticiparle e che riguardava la sua torta nunziale, abbiamo scelto la fattoria che aveva ospitato la festa del suo matrimonio col povero dottor Charles.
Mangoni: «Madame, eccoci qui.»
Emma: «Sì, è un luogo simbolico dalla mia vita; qui mi sono sposata con Charles.»
M.: «Ha voluto incontrarmi al crepuscolo tra torce e candele.»
E.: «Avrei tanto voluto un matrimonio di notte, tra cento torce e sotto le stelle. Vede com’è emozionante quest’ora! Mio padre la giudicò una stranezza e organizzò un pranzo che durò sedici ore; solo che la sera, sotto le torce, c’erano uomini e donne sfatti dal mangiare.»
M.: «Voleva qualcosa di diverso?»
E.: «Cercavo di avverare i miei sogni di ragazza; era il mio giorno perbacco! Organizzarono tutto mio padre e mio marito. S’immagini quattro grandi lombate di manzo, sei vassoi di pollo in fricassea, tre cosciotti di montone, un intero maialino circondato da salsicciotti all’acetosa. Che romanticismo! Arrivammo qui a piedi in processione guidati da un contadino violinista; avevo sognato una carrozza per noi sposi. Il mio vestito si impigliava sul sentiero e raccoglieva rametti e sassolini. La tavola era stata apparecchiata col vino già versato nei bicchieri, senza il garbo di qualcuno che lo versa. Per non parlare delle scodelle di crema pasticcera con le nostre iniziali in confettini, che tremavano a ogni urto della tavola. Si rideva alle mie spalle per via di certe morbidezze che il mio vestito da sposa non riusciva a contenere.>>
M.: «Come sa, sono qui per sapere della sua torta nunziale.»
E.: «Quella fu l’unica cosa che ho deciso io! Andammo da un pasticciere di Yvetot, perché al paese nessuno poteva fare quel lavoro.»
M.: «Vede, sono sempre stato convinto che Flaubert, il suo autore, giudicasse molto importante questa torta, tanto da dedicargli parecchie righe.»
E.: «Ma certo! Era la MIA torta!»
M.: «La descrive ai nostri lettori?»
E.: «Era alta più di un metro. Alla base c’era un tempio quadrato, con portici e colonnato di zucchero, con puttini in marzapane. Al centro di ogni lato c’erano nicchie azzurre con deliziose stelle di carta dorata»
M.: «Flaubert ci dice che tutto questo era di cartone; il grande cuoco Carême si rivolterebbe nella tomba. Le sue architetture pasticcere erano tutte mangiabili e abborriva cartoni e legnetti di sostegno.»
E.: «Ma il secondo piano era tutto mangiabile! Due Charlotte una sull’altra; insieme raggiungevano mezzo metro d’altezza con le scanalature fatte da lunghi savoiardi. Formavano due grandi torri, quella inferiore di colore rosa e quella superiore beige.»
M.: «Questa fortezza turrita rappresentava forse l’inespugnabilità del vostro matrimonio?»
E.: «Non faccia della facile ironia! Le mura erano di savoiardi, mica di croccante! Sin da ragazzina, al collegio, sognavo castelli e torri. Leggevo i romanzi di Walter Scott, e mi immaginavo svenuta nella torre salvata da qualche giovane eroe…. ma, purtroppo, Charles non era quell’eroe.»
M.: «Ma in fondo si può dire quella torta rappresentasse più lei che suo marito?»
E.: «Vede, la seconda torre sosteneva una prateria verde, con rocce e sassi di zucchero, laghi di marmellata, ingenue e romantiche barchette in gusci di nocciole. Poi avevo previsto un’altalena. Mi sarebbe piaciuto che a dondolarsi fossimo Charles ed io scolpiti nello zucchero. Il pasticciere si era proposto di mandare un artista per riprodurre i nostri volti. Ma Charles rifiutò. Pensava che fosse disdicevole per un dottore quella rappresentazione. In questo fu spalleggiato da mia suocera.»
M.: «E allora ripiegò su un puttino, per quell’altalena di cioccolato.»
E.: «Agli angoli dell’altalena feci mettere due boccioli veri di rosa, che stavano d’incanto.»
M.: «Madame, il suo autore ci ha descritto la torta. Ma non ci ha detto niente del sapore delle due Charlotte. Come erano?»
E.: «Il pasticcere mipropose diversi sapori per le Charlotte. Aprì un libro proprio di quel Carême che lei citava poco fa. Leggendo l’indice, cominciò ad elencare i titoli delle varie Bavaresi: Bavarese al pistacchio, alle noci verdi, alle mandorle amare e arrivò alla ….
Bavarese del perfetto Amore. Da: Le pâtissier royal parisien di Marie-Antoine Carême. 1815
Tagliate più minutamente possibile le scorse di due limoni e quella di un piccolo cedro. Gettateli in due bicchieri di latte in ebollizione; aggiungete sei chiodi di garofano schiacciati. Otto once di zucchero (250 gr.) e, dopo un’ora d’infusione, filtrate tutto alla stamina. Aggiungete sei Gros di colla di pesce (circa 22 gr.) e un po’ d’infusione di grani di cocciniglia per tingere la preparazione di un bel rosa. Mettete la crema in una bastardina e mescolate; quando comincia a legarsi, mescolate un formaggio fresco alla crema. Dopo mezz’ora di raffreddamento (con ghiaccio), la crema bavarese sarà pronta.
M.: «Certo una crema per riempire una Charlotte, con un nome così amorevole, era sicuramente adatta a un matrimonio.»
E.: «Ma non solo il nome, anche quel colore, delicatamente rosato. Colore che ha anche dipinto con l’alchermes i biscotti morbidi delle pareti della Charlotte. E poi il profumo mi inebriò quando il cucchiaio si riempì di quella morbidezza rosata. Il fondo dolce del limone, improvvisamente, sprigionava il profumo piccante dei chiodi di garofano.»
M.: «Invece quale era il gusto della Charlotte superiore?»
E.: «La crema interna era alle albicocche. Un frutto che ho molto amato.»
Charlotte alle albicocche fresche. Da Urbain Dubois “École des cuisinières, méthodes élémentaires, économiques. Cuisine, pâtisserie, office. 1871
Foderate uno stampo per Charlotte con dei biscotti per Charlotte, glassati e tagliati in losanghe, e raffreddati. Tagliate in quarti alcune albicocche mature, spellatele. Fatele macerare per mezz’ora in zucchero e Kirsch. Con sciroppo vanigliato e latte di mandorla diluite 2 decilitri e mezzo di polpa d’albicocche passate. versatelo in padella e mescolatevi un decilitro di colla di piede di vitello (oggi useremmo colla di pesce in minore quantità Ndr); assaggiate; legatela sul ghiaccio e incorporate quattro cucchiai di panna montata. Mettetela a strati nella Charlotte, alternandoli con i quarti d’albicocche: fate raffreddare per un’ora.
M.: «Anch’io adoro le albicocche. Sono facili da mangiare; non devi spellarle, si dividono in due comodi bocconi, il nocciolo si stacca facilmente.»
E.: «Ma soprattutto sono poetiche; la pelle è liscia come la guancia di una ragazza, a volte hanno lentiggini rosse, a volte arrossiscono per una vampata amorosa. Una vedova che veniva al collegio ci insegnava canzoni cortesi e amorose:
je vois cette pomme éclatante,
ou plutot ce petit soleil
ce doux apricot sans pareil
dont la couleur est si charmante.
Poi mostrava alcune rotondità del frutto, scoppiando in grandi risate. Insomma non è solo il sentimento platonico che è racchiuso in quel frutto, ma anche la sensualità travolgente.»
M.: «Spalliere di albicocchi contornavano il piccolo giardino della vostra prima casa da sposi.»
E.: «Perché gira intorno alla questione? So dove vuole arrivare. A quel cestino di albicocche che il mio amato Rodolphe mi fece consegnare alla vigilia della nostra fuga, con la lettera dove con mille parole ingannevoli dichiarava che fuggiva lui da me. Che vigliacco!»
M.: «Ma torniamo alla Torta nunziale. Tutta quella base posticcia in cartone blu, col cielo stellato da presepe, nicchie e colonne di gesso, che effetto hanno avuto sul suo matrimonio.»
E.: «Provi a spiegarmelo lei, che è così bravo!»
M.: «Un po’ come l’amorino sull’altalena, il laghetto, i gusci di noce, quell’architettura rappresentava per lei un ideale della vita. Purtroppo più sognabile che vivibile.»
E.: «Io ho avuto il coraggio di sfidare il mondo per tentare di entrare in quei sogni. Il cielo stellato di cartone per me ha preso forma nella realtà, quando passeggiavo con Leon, il giovane studente che ho tanto amato. Dividevamo l’amore per la poesia, per l’arte, il suo stesso corpo candido era pura poesia. Ma forse lei non può capirmi. Vede, in quel mondo si cartone hanno alloggiato molti momenti felici della mia vita. Che Leon sia fuggito anche lui, non leva niente al mio amore…… quante donne hanno avuto e avranno degli amanti, quanti tradimenti sono destinati al segreto, allo scandalo, ai mille commenti maliziosi della gente. Ma chi può capire a fondo i moti di quei cuori? Nel mio caso, invece, il mio autore ha descritto ogni più piccola sfumatura dell’anima, ha sezionato i miei sentimenti e li ha esposti al pubblico. E come scriveva bene quel Gustave Flaubert!»
M.: «Bisogna dire che il romanzo della sua vita è finito sotto processo per oscenità: ma quel Gustave Flaubert l’ha difesa fino ad affermare: “ Madame Bovary sono io!”. Il romanzo ha avuto un successo universale.»
E.: «E anche la mia storia una notorietà universale!»
M.: «Madame, mi scusi se insisto. In quella torta c’è solo lei, i suoi amanti un po’ vacui e vigliacchi, come lei stessa li ha definiti, ma suo marito? Il Buon dottore Charles Bovary, dove è nascosto?»
E.: «Più volte ho tentato, sempre sotto un cielo stellato di cartone, come dice lei, di leggere a Charles delle poesie, di cantargli qualche aria, nel disperato tentativo di accendere la pietra focaia del suo cuore. Lui mi ha amato a suo modo, ma amava una persona che non ero io. Non capiva la tempesta che agitava il mio animo, ma la contemplava in modo distaccato e noioso, come si può ammirare un quadro, non la persona che aveva sposato. Poi dopo il mio suicidio, mio marito ha trovato posto nel cubo di cartone azzurro. A questo è servita la mia morte. Mi ha perdonato, anche davanti all’evidenza dei miei tradimenti, alle lettere ritrovate dei miei amanti, ha pensato ad “amori platonici”, che forse erano proprio così, non agli occhi della gente certo, ma ai nostri occhi.»
M.: «Debbo dirle che il suicidio è l’unica cosa che non ritrovo nella torta.»
E.: «Mi stupisce mio caro! come fa a non capire l’irriducibile rapporto tra il sogno di cartone e la passione cremosa delle bavaresi che si agitano nelle Charlottes. Dovevo scegliere: Portare la mia famiglia e mia figlia allo scandalo e alla rovina economica per i miei debiti, o sparire riuscendo a conservare un lumicino di amore da parte di mio marito. Poi ho saputo della sua disperazione e della sua morte. Flaubert racconta anche di mia figlia Berthe che, ridotta in miseria, finisce a fare l’operaia in una filanda. A proposito, lei ne ha notizie?»
M.: «Sì. Ha fatto carriera, ha comprato la filanda e molte altre fabbriche e ha sposato un ricco visconte.»
E.: «Sarà stata una cerimonia di matrimonio bellissima. Per restare in tema, la loro torta nunziale com’era?»
M.: «Era una torta inventata al Congresso di Vienna, quando la restaurazione mise a posto tutte le passioni rivoluzionarie: una Sacher Torte. Amaro realismo imprenditoriale al cioccolato. Un decoro scuro glassato e vetroso, elegante, ma senza fronzoli. Ah, devo segnalarle un sottile, molto sottile, strato passionale, tra torta e glassa, fatto di marmellata di albicocche…..»
Una luce e un’ombra passarono insieme nello sguardo di Madame Bovary.
E.: «Lei mi ha detto che ama la poesia. Le dispiace ascoltare qualche verso qui al lume delle candele? Sono della Lucia di Lammermoor, l’opera di Doninzetti che Charles mi portò a vedere a Rouen.
Que n’avons-nous des ailes?
Perchè non abbiamo le ali?
Au loin portés par elles
Che ci portino lontano
Hors des routes mortelles,
Fuori dalle strade mortali
Vers les étoiles d’or,
Verso dorate stelle
Nos deux esprits fidèles
Uniraient leur essor……
Mi accorsi che Emma non era più con me; le candele illuminavano il palcoscenico della Lucia di Lammermoor. Il paesaggio normanno era ormai la Scozia. La guardavo recitare i suoi versi…. Perché non ha trovato le ali?… Lentamente mi sono allontanato nell’ombra.
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