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Natale is coming

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Si avvicina il Natale. Sarà un Natale diverso, lo dicono tutti, ce lo ricordano tutti…Come se non bastasse guardare i Tg, registrare le vittime in tutto il mondo, le strade deserte, i negozi, quelli veri che languono mentre i grandi store illudono, come a voler dimostrare che tutto è rimasto uguale. File interminabili di persone in attesa di entrare nei mega magazzini non sono soltanto l’immagine di una Italia allarmante ed allarmata dal Covid, ma il flash di un Paese soffocato da una ingordigia che non ci appartiene, non più interpretato dagli attori di una volta, di una società consolidata nelle sue abitudini.

Il pensiero va all’Italia artigiana e orgogliosa delle sue botteghe, dove l’acquisto era anche l’occasione di un incontro, di un confronto, di una conoscenza precisa del prodotto manufatto, frutto di un artigianato paziente e consapevole dei tempi e del loro trascorrere, che stava all’economia del paese tanto quanto la famiglia era alla base della società nazionale. Un mondo finito e capovolto da regole a noi sconosciute, guidate da forze estranee alla nostra cultura ed ai nostri sentimenti. Una sorta di rivalsa della Storia su quei paesi che sono stati il centro e i diffusori della cultura, dell’arte, della musica, della filosofia, della legge, insomma della civiltà nel mondo.

Alla scrittura in corsivo si sostituisce quella a stampatello, spersonalizzando così l’autore, che, anonimo e senza firma, diventa il trascrittore di un ”taglia e incolla” delle notizie.

E il Natale, il nostro Natale, quello che teneva accanto credenti e non credenti, sembra essere non una festività, ma una festa internazionale, svuotata del suo significato più profondo che risale alla credenza cristiana e alla tradizione della maggior parte dei popoli occidentali.

Tutto questo, oggi, in cui parlare di pace, di uguaglianza e di fraternità, sarebbe non solo necessario, ma utilmente educativo. Noi donne abbiamo tanto lottato, perché si rispettassero i nostri diritti, ma oggi quel corpo che doveva essere nostro, solo nostro, viene usato e abusato e, mi si permetta, malamente interpretato e non solo dall’altro sesso… forse alterando il significato di libertà, di uguaglianza, denutrendoli del rispetto, loro componente essenziale.

Credo fortemente nella tradizione, che è la radice di un popolo, dei suoi valori e degli usi, diventati costumi, che quel popolo hanno caratterizzato, ma credo anche che un Paese debba essere all’avanguardia coi tempi e con i cambiamenti.

Rinunciare al proprio passato significa consegnare un paese galleggiante ai nostri giovani, non trasferire il testimone della memoria. Un conto è essere cittadino del mondo , un conto non sapere chi siamo stati e chi dovremmo ancora essere. E lo smarrimento che ne consegue diventa il sintomo pregnante della perdita di identità.

La storia, la società, la vita di una nazione è tutto questo, così come la famiglia, le tradizioni, le usanze sono alla base dell’uomo di domani… E la cucina? Il rammarico per le cose perdute, o che si credono tali, è coniugabile con la rinuncia? I nostri sensi, che hanno guidato secoli di generazioni di mamme e di nonne nelle nostre cucine, animati da mani sapienti, a volte non curate, ma sempre morbide al tatto, devono rimanere intatti dentro di noi.

Ieri, tutto questo rimbombava dentro di me e, alla maniera di Proust, ho sentito in bocca la dolcezza di un sapore antico che mi faceva e mi ha fatto bene al cuore: le Cartellate.

Mi ricordo che mangiavo queste rose scure già prima del Natale, cosa che faceva andare su tutte le furie mia madre che aveva il piacere e anche la regola che prima della Notte Santa, nulla venisse toccato… per lei era quasi una profanazione! Era difficile trattenersi di fronte ad un piatto così invitante anche perché mia madre era solita distribuire sopra tanti confettini colorati che facevano allegria a noi bambini.

La ricetta è abbastanza semplice, ma ogni famiglia ha il suo piccolo segreto ed io, pur gelosissima in cucina, vi rivelo il mio.

Le cartellate

Ingredienti

  • ½ kg di farina così divisa: 400 gr di farina bianca e 100gr di semola,
  • 1 bicchiere di olio di semi e 1 bicchiere di vino bianco (ambedue insieme vanno riscaldati, non bollenti e aggiunti),
  • 2 cucchiaini di zucchero,
  • 1 pizzico di sale,
  • 1 L di vincotto d’uva o di fichi (è un prodotto tipico pugliese e si può acquistare online),
  • Olio per friggere.

Come preparare le Cartellate

Mettere la farina mescolata e arieggiata su un tavoliere, fare un cratere al centro e mettere olio e vino riscaldati, lo zucchero e il pizzico di sale.

Lavorare molto bene in modo che la pasta diventi liscia. Stenderla con la macchina o a mano molto fina per rendere le cartellate leggere leggere (dovrebbero ricordare il lenzuolo con cui è stato avvolto Cristo). Fare con la rotella dentellata tante strisce di circa3/4 cm che vanno poi ripiegate pizzicandole ogni 3 cm e arrotolandole su se stesse a forma di rosetta. Porle su un piano, leggermente infarinato e farle riposare per 24 ore.

Il giorno dopo, mettere l’olio in padella e friggere le rosette finché non avranno un bel colore ambrato, farle scolare bene e preparare un’altra padella dove metterete a riscaldare il vincotto che, se è molto denso, va diluito con un po’ di acqua. Quando il vincotto bolle, mettere le cartellate, farle ben impregnare, toglierle subito e adagiarle in un piatto. Quando avrete finito tutte le cartellate, versate quello che resta del vincotto caldo sopra le rosette che avete precedentemente messo nel piatto. Se volete renderle festose come quelle della mia mamma aggiungete dei granellini colorati con l’augurio a tutti di un sereno, familiare e intimo Natale.

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