l’UE da il via libera al sistema italiano
Il Made In Italy non si discute, il Nutri-Score sì e la buona notizia è che l’Unione europea ha dato il via libera al sistema di etichettatura nutrizionale messo a punto dalle istituzioni italiane e denominato “Nutrinform Battery”.
Lo Stivale totalmente coeso e compatto ha detto no al sistema di etichettatura francese sviluppato da ricercatori specializzati in nutrizione e sanità pubblica dell’Università Paris 13, che classifica buona parte degli alimenti che troviamo nei nostri supermercati con una lettera A associata al colore verde se il prodotto è sano fino alla lettera E associata al colore rosso se il prodotto lo è meno.
Sebbene dalla sua approvazione nel 2018, il Nutri-Score sia già stato adottato da diversi paesi dell’Unione Europea (Francia, Austria, Germania, Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi e Spagna) e dalla Svizzera, nessuno in Italia ha mai pensato di assecondare questo metodo evidentemente imposto dalla Francia e probabilmente dall’interesse di alcune multinazionali per difendere sul mercato alcuni prodotti che mai potrebbero competere con le eccellenze italiane, tantomeno penalizzarle.
La proposta presentata dal Bel Paese è in totale contrasto con il modello francese che con i suoi principi semplicistici e senza alcun fondamento scientifico rischia di minare i capi saldi della dieta mediterranea.
“E’ la dose che fa il veleno” diceva già in epoca rinascimentale Paracelso ed è questo il principio alla base dell’etichettatura made in Italy, che non può evidentemente accettare che il parmigiano reggiano piuttosto che il prosciutto crudo vengano bollati con la lettera D o E a scapito di carne in scatola promossa con A o patatine fritte in busta che se la cavano con una modesta C.
Il Nutrinform Battery, supera evidenti limiti del Nutri-Score e specifica il presidente di Federalimentare Ivano Vacondio “non condiziona le scelte dei consumatori spingendoli all’acquisto di certi prodotti a discapito di altri, ma ha un approccio educativo”.
L’etichetta in questione non andrà ovviamente a sostituire la classica etichetta nutrizionale presente sul retro dei pacchi o delle scatole di alimenti che indica le percentuali di energia e nutrienti presenti in ogni singolo prodotto alimentare, né tantomeno verrà proposta al posto dell’elenco degli ingredienti presenti nella confezione obbligatori per legge.
La Nutrinform, che nasce dall’esigenza di contrastare patologie quali l’obesità, che dipendono anche (ma non solo) da una corretta alimentazione, fornisce al consumatore diversi dati in più.
All’interno di ogni simbolo della batteria (5 in totale, una per ogni elemento critico) viene infatti indicata la percentuale di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale apportati dalla singola porzione, rispetto alla quantità giornaliera di assunzione raccomandata.
“Attraverso i numeri esposti nelle caselle del Nutrinform e il simbolo grafico della batteria, i cittadini avranno la possibilità di capire facilmente sia la quantità di calorie e di nutrienti che assumono consumando un prodotto, sia l’incidenza di questi nutrienti sulla dieta quotidiana generale – sottolinea ancora Vacondio – Rispetto a sistemi che si basano sulla valutazione dei singoli prodotti, il Nutrinform punta alla realizzazione di diete variate ed equilibrate, sulla base del concetto che qualunque cibo può far parte di un’alimentazione sana se consumato nelle corrette quantità e frequenze. L’indicazione specifica sulla quantità di nutrienti, inoltre, va maggiormente incontro alle diverse necessità delle persone rispetto all’improbabile giudizio complessivo sul prodotto compiuto dal Nutri-Score, che non consente al consumatore di capire quanti zuccheri, sali o grassi contenga un alimento”.
Il progetto per la realizzazione dell’etichetta, il cui utilizzo precisiamo essere volontario e non obbligatorio, è stato perseguibile grazie non solo ai quattro ministeri di competenza (Salute, Sviluppo Economico, Agricoltura e Esteri) ma anche alla partecipazione di esperti nutrizionisti dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e del Consiglio per la Ricerca Economica e Alimentare (CREA) e di rappresentanti delle associazioni di categoria della filiera agroalimentare e dei consumatori.
Un passo decisivo per la tutela delle eccellenze italiane, messe a rischio da un sistema viziato dall’interesse di pochi che per fortuna trova il sostegno di Nestlè almeno nell’esclusione dall’applicazione dell’etichettatura a modello francese su tutti i prodotti Dop e Igp che già rispondono ad altissimi standard di qualità e sicurezza.
L’Italia cerca di essere competitiva e di presentare uno strumento da poter imporre in occasione di una eventuale armonizzazione prevista per la fine del 2022, ma considerando che circa una decina di paesi dell’Unione Europea hanno già abbracciato il metodo Nutri-Score, sembra difficile immaginare di poterla spuntare.
“La verità – ha dichiarato in un’intervista al Sole 24 Ore Marco Settembri, Ceo di Nestlé per l’Europa – è che anche il concetto di porzione a cui tanto tiene l’Italia, è travisabile. Applichiamolo per esempio al cioccolato: se io scrivessi quanti zuccheri sono contenuti in un paio di quadretti, che equivalgono a una porzione, anche il cioccolato avrebbe il bollino verde. Poi però i miei detrattori mi contesterebbero, dicendo che se il consumatore vede sulla confezione il bollino verde sarebbe indotto a comprare la tavoletta e a mangiarsela tutta. Con buona pace dell’intento educativo delle etichette nutrizionali”.
Considerando che proprio di recente, Nestlé si è unita ad altre aziende, associazioni, scienziati ed eurodeputati per chiedere alla Commissione europea che il Nutri-Score diventi obbligatorio in tutta Europa, non è difficile immaginare il perché di tale dichiarazione.
Quel che è chiaro ed innegabile è che nessun italiano mangerebbe un’intera barretta di cioccolato pensando di farsi del bene.
Si chiama cultura alimentare la nostra e di certo anche qualora l’Unione Europea dovesse pensare a un metodo univoco, non sarà un percorso senza ostacoli.
L’Italia non potrà mai accettare che una bibita gasata di una multinazionale sia qualificata come più sana dell’olio di oliva.