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Saint Honoré, torta condita da polemiche

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di Fabrizio Mangoni

Di cosa è fatta l’invenzione in cucina? L’evoluzione della gastronomia è basata su progressive creazioni, piccole o grandi mutazioni, a volte veri e propri salti culturali. Si vagheggia spesso di errori, di rimedi a piccole catastrofi avvenute nelle cucine. Si racconta che la Zuppa Inglese che si fa a Napoli, sia nata nell’ambasciata inglese, durante un pranzo alla presenza del re di Napoli. Una semplice torta di crema e Pan di Spagna, al momento di essere portata in tavola, era rovinosamente caduta in terra. Il cuoco non si perse d’animo: raccattò i pezzi rotti di Pan di Spagna e la crema, rimise tutto nella forma e coprì con una leggera meringa all’italiana che si cuoce in qualche minuto. Dimenticanze, errori, cotture sbagliate, hanno creato piccoli capolavori. Ma, il più delle volte, ci troviamo di fronte a geniali invenzioni, come in questo caso.

Torta Saint Honoré.

Su una base di pasta brisè, formate al cornetto una corona di fine pasta choux, spolverizzate di zucchero e infornate a forno a basso calore; a cottura ultimata lasciate raffreddare; quindi incollate sulla parte superiore una corona di choux ripieni di marmellata e glassati al caramello; potete alternare questi choux con un frutto candito o un’imitazione della mandorla verde, anch’essa glassata. Nel frattempo preparare una crema con 10 tuorli d’uovo, 3 decilitri di panna semplice, un cucchiaio di fecola e un granello di sale; passare alla stamina. Passatela sul fuoco finché non sia ben legata; poi riponetela sull’angolo del forno; aggiungete una qualsiasi essenza e aggiungete 4 bianchi montati e leggermente dolci. La crema assumerà quindi la consistenza di una chantilly; lasciate che perda il suo calore e versatela subito nel pozzo al centro della corona di choux. Questo crema potrebbe essere vantaggiosamente sostituita da una chantilly profumata, o da una bavarese alla frutta o vaniglia.

È questa forse la prima Torta Saint Honoré descritta in un ricettario. La troviamo ne “La Cuisine Classique” di Urbain Dubois ed Emile Bernard pubblicato a Parigi nel 1856. Ma sappiamo che il dolce è stato creato dieci anni prima, nel 1846, dall’inventività congiunta di tre pasticceri. All’origine c’è l’opera del pasticcere Chiboust, che, nella sua “Maison Chiboust au Palais Royal” in rue Saint Honoré, creò un dolce composto da due invenzioni: una base di pan di Genova, inventata o perfezionata dal suo capo pasticcere, e una crema fatta dallo stesso Chiboust. È una ricerca di leggerezza: il Pan di Genova è simile al Pan di Spagna, ma è più soffice, mentre la crema è alleggerita da un’aggiunta di bianchi montati a neve. Il problema di questo dolce è che la crema finisce per spugnare la base; e infatti, veniva messa solo al momento dell’acquisto. Il terzo pasticciere era uno dei fratelli Julien, anche loro proprietari di una rinomata pasticceria nella Piazza della Borsa. In quella pasticceria si perfeziona il dolce e nasce il Saint Honoré che noi conosciamo. A una base di pasta brisè si sovrappone una sorta di ciambella di pasta choux e una corona di piccoli choux caramellati; al centro si versa la crema Chiboust. Qui c’è della genialità; alla base il solido della pasta brisè che non si spugna, ma poi non si realizza un bordo duro della stessa pasta, ma un contenitore fatto della morbida consistenza dello choux e, infine, la decorazione degli choux luccicanti di caramello con la crema armoniosamente adagiata con le sue volute disegnate al cornetto. A mio avviso, non si tratta solo di tecnica, ma anche di cultura o se volete, di un clima culturale. In quegli anni Parigi si allarga e si arricchisce di monumenti, come l’arco di Trionfo o Place de la Concorde. Nel Saint Honoré e nella sua corona di palline luccicanti, nelle volute della crema si possono leggere le tracce di un’architettura neoclassica, dei disegni immaginari di Boullè, destinati a far posto, dopo pochi anni ai grandi boulevard del Barone Haussmann. È una torta architettonica che risponde alla domanda dei parigini.

Ora i Fratelli Julien divennero famosi per il Saint Honoré e anche per il Babà Savarin, altra loro creazione, mentre nei manuali di cucina si descriverà la crema Chiboust, senza citare mai il nome del suo autore. Anzi in alcuni manuali si inviterà ad una certa prudenza nel realizzare quella crema, suggerendo anche di sostituire i bianchi d’uovo sbattuti a neve con una meringa cotta all’italiana. Il motivo è forse da ricercare in uno scandalo dovuto ad un certo numero di intossicazioni, di cui furono imputate le pasticcerie di rue Saint Honoré, definite “gli avvelenatori di Parigi”. La crema Chiboust era una possibile imputata; se i bianchi sbattuti a neve non sono di uova fresche e se la crema non è ben conservata, espone gli assaggiatori a dei rischi. Si scoprirà poi che la causa degli avvelenamenti non erano solo le uova, ma numerose sofisticazioni alimentari entrate nelle pasticcerie grazie a commercianti imbroglioni e a pasticceri a volte inconsapevoli. Ma forse questo alone di sospetto potrebbe essere stata la causa della rimozione del nome dell’autore di questa particolare crema.

Ho pensato fosse interessante incontrare il vecchio Chiboust, o meglio il suo fantasma, per fargli qualche domanda. Sapevo di poterlo trovare ancora nel suo negozio, anche se oggi è molto cambiato. Lo incontro verso sera a Parigi, nel ristorante giapponese Higuma al numero 163 di rue Saint-Honoré.

Indossa una sobria marsina ottocentesca; ci accomodiamo e senza attendere una mia domanda esordisce:

Chiboust: «Solo 120 anni fa, qui c’era la Maison Chiboust. Cosa ordina?»
Mangoni: «Per me, un set di California Roll»
Ch: «Io prendo un Misukoyan, un perfetto rettangolo di budino di fagioli azuki, mi sembra raggiunga il sublime equilibrio tra perfezione formale e gusto»
M: «Vedo che non è si rifugiato nella nostalgia del passato»
Ch: «Cosa vuole, caro amico, ho sempre perseguito la perfezione, e riesco ad apprezzarla anche nei dolci di oggi»
M: «Parliamo di una sua creazione: la crema Chiboust, che poi è entrata a pieno titolo nella Torta Saint-Honoré»
Ch: «Volevo una crema che non spugnasse la pasta di appoggio»
M: «Che, inizialmente, era una specie di brioche, di pasta di Genova»
Ch: «E per questo ho pensato a una crema pasticcera con poca farina, addensata e poi alleggerita e arieggiata dal bianco d’uovo montato a neve ferma»
M: «Ma è vero che la torta Saint-Honoré nasce ad opera di altri pasticceri? La si attribuisce ai fratelli Julien, che avevano pure loro una pasticceria in rue Saint-Honoré»

A questo punto il signor Chiboust si fa pensieroso e assaggiando il Misuyokan:

Ch: «Quanti santi! Saint-Honoré torta, Saint-Honoré strada, Saint-Honoré martire, protettore dei panettieri… Sì, un giovane pasticcere della famiglia Julien, è stato apprendista da me, e ha imparato la crema Chiboust. L’avevo mandato io nel sud a imparare nuove tecniche, e si è perfezionato nella pasta brisè. Nella pasticceria dei suoi parenti ha fatto uno + uno, e ha costruito una torta con base di pasta brisè, con corona di choux caramellati, e riconosco che qui c’è arte, e ha posto al centro la mia crema»
M: «Sembra che ne vendessero centinaia ogni giorno, il Saint-Honoré era quasi il simbolo di un’epoca, della Francia di Luigi Filippo»
Ch: «Potrei dire un dolce che ben rappresentava la nuova borghesia, i nuovi ricchi dell’epoca. Ne ho fatti e venduti anch’io. Ascrivo a me l’invenzione del beccuccio Chiboust del Sac à poche. Riuscivo a fare, con la mia crema, delle perfette mezzelune sottili; se non sbaglio, era il 1846, poi ci fu la rivoluzione del ‘48»
M: «Successe anche uno scandalo, siete passati alle cronache come gli avvelenatori di rue Saint-Honoré»
Ch: «Fu una diretta conseguenza della nuova epoca, dei liberi commerci, della libertà d’impresa. Cominciarono a circolare fornitori che ti propinavano burro che non aveva mai visto il latte, addirittura sbiancato con la calce, cioccolato adulterato, persino uova importate dall’Algeria. Pensate a settimane di viaggio. Costavano poco, e molti di noi, per pochi franchi, sono diventati ladri. Io no! Ho preferito sempre difendere la qualità e mi servivo da fornitori di cui potevo fidarmi ciecamente»
M: «Tutto questo accade anche ai giorni nostri. Ma poi, per le intossicazioni, fu accusata proprio la sua crema»
Ch: «Certo è evidente che le uova sbattute a neve sono l’unica cosa non cotta lì dentro; quindi qualcosa può deteriorarsi. Io, però, conservavo la crema in ghiacciaia e la mettevo al momento; e non ho mai venduto i dolci delle vetrine. E avvisavo anche i clienti di consumare il dolce in giornata. Non così altri pasticceri»
M: «Già solo pochi anni dopo, nel 1856, Urbain Dubois grande cuoco suo contemporaneo proponeva di usare la crema Chantilly per il Saint-Honoré. E ancora oggi molti pasticceri ricorrono alla Chantilly»
Ch: «Che soluzione banale! Voi avete tanti mezzi in più di noi per conservare al freddo!»
M: «Mi perdoni. Le debbo fare una domanda un po’ delicata. In fondo il Saint Honoré è nato nella sua pasticceria. Poi tutti se ne sono appropriati e lei è stato un po’ dimenticato»
Ch: «Cosa vuole, io facevo il pasticcere; ho insegnato quest’arte a tanti giovani. Non avevo tempo di curare le relazioni, di mandare i dolci a casa dei potenti, a chiedere a qualche cronista di citare che a un determinato banchetto c’erano i miei dolci. I fratelli Julien avevano utili frequentazioni. Il grande Brillat-Savarin ha dato a loro la ricetta di un liquore, per una macedonia di frutta, immaginatevi che novità! E loro lo hanno messo in un Babà; ma se poi quel Babà lo chiami Savarin lo chiederanno tutti. Chapeau ai fratelli pasticceri! Anche senza comprarle le buone recensioni si possono ottenere creando intorno a sé una certa mitologia e farla raccontare. A questo punto tira un foglietto dalla tasca e si mette a leggere. «Èl’almanacco di Parigi. Ci sono tutti i pasticceri, ma alcuni, pagando, hanno il nome ingrandito e seguono titoli principeschi. Medaglia d’argento all’esposizione universale» Chiboust alza gli occhi al cielo. «medaglia e diploma d’onore, fondatore della società dei pasticceri, rinomato per timballi ecc. ecc. per carità tutte cose vere. Insomma spesso bisogna affiancare alla propria capacità buone relazioni; in una parola: POLITICA! Poi diventano tutti ciechi nel difendere le loro opere. Il Saint Honoré con la base di pasta brisè dei fratelli Julien è meglio della mia pasta di Genova? Forse. Ma provate a tagliare quella torta, la brisè si spacca. Io dico: usate il cervello, applicatevi alla vostra arte! Alla base del Saint Honoré ci metterei, come alcuni fanno, la pasta sfoglia. Ma anche questa si spugna. Allora per evitare questo l’impermiabilizzerei con un velo di marmellata di albicocche. Come vede noi pasticceri non siamo solo architetti delle torte, ma anche ingegneri!»
M: «Se la può confortare, la sua invenzione è stata copiata, con piccole modifiche, una sessantina di anni fa. In America hanno creato la Crema Chiffon, forse meno leggera e più addensata, servita rigorosamente fredda»
Ch: «A proposito di America, finisca i suoi rollini californiani. Vede, sono contento che al posto della pasticceria Chiboust, ci sia un ristorante giapponese. Avrei detestato un propinatore di Hamburger. Mi piace tornare qui, non per nostalgia di queste mura, ma per continuare a inseguire le novità. Spero di rivederla»

Ghost hunter francese Alain B. Ricostruzione fotografica di Fabrizio Mangoni
Non è stato facile fotografare il fantasma del pasticcere Chiboust mentre lo intervistavo. Mi sono avvalso dell’opera del famoso Ghost hunter francese Alain B. Ricostruzione fotografica di Fabrizio Mangoni

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