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Seduzione voluttuosa del cibo

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di Fabrizio Mangoni

Per scrivere questa riflessione ho guardato, con finalizzata attenzione, alcune trasmissioni televisive dove si illustrano o si giudicano preparazioni di pietanze. Ho registrato gli aggettivi che si usano: dolce, amaro, acido, consistente, armonico, colorato ecc. sono da sempre convinto che la descrizione dei sapori è una delle cose più difficili da fare. Entrano in ballo la vista, l’odore, poi gli stimoli delle varie papille gustative della lingua, e poi le memorie, insomma un complesso di effetti sensoriali che di volta in volta si associano variamente intorno all’assaggio. Come ci ricorda Brillat-Savarin nella sua “Fisiologia dl gusto”, tutti e cinque i sensi entrano in ballo davanti a una pietanza. E ne aggiunge un sesto “il genesico” che assomiglia molto alla sessualità e ai suoi stimoli. Descrivere il sapore è qualcosa ricco di evocazioni, che deve ricorrere a una vasta gamma di elementi che possono sconfinare nella poesia.

Mi piace proporvi in proposito un antichissimo testo del X secolo, che è un vero e proprio viaggio sensoriale tra gli alimenti. Riguarda un episodio della vita del califfo di Baghdad Mustakfi riportato nel testo Medievale “Le Praterie d’oro” di Maçudi grande geografo e biografo della vita dei califfi Abbassidi. Prima di un banchetto chiede ai presenti se conoscono delle poesie sul cibo. Uno dei sudditi comincia a recitare. Prima di leggere il testo e il commento più avanti riportato, vi pregherei di ascoltare i versi recitati. Ho riscritto la poesia, mutuandola con piccoli adattamenti da le tre traduzioni esistenti: quella di Barbier de Meynard del 1886, quella di Arberry del 1936 e quella rivista da Pellat nel 1962. Il commento musicale è “Ambient Arabian Oud – Orchestralis in Middle Eastern” diritti riservati.

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Vediamo ora cosa ci racconta il testo.

Accetta ti prego il vassoio di paglia
Fatto di tazze bene allineate
in queste ciotole rosse e gialle
non c’è nulla è da disprezzare

al gourmand che si ispira ai sensi viene offerto il vassoio e si stimola la sua curiosità attraverso le scodelle allineate e piene di cose gustose.

Qui il kāmakh è di fior di dragoncello
Qui capperi ornano la salsa rossa
I loro profumi fragranti vengono
sprigionati per il piacer dell’anima

Abbiamo due assaggi, due colori e due profumi. Il kāmakh merita una descrizione. È un formaggio morbido e bianco che prende i profumi delle erbe e del caglio vegetale. La parola è di origine persiana e nei più antichi ricettari di Baghdad, corrisponde ad una preparazione che dura mesi. Il latte è messo in una zucca svuotata e esposto tutti i giorni al sole finché si addensa. Il Kamakh al dragoncello è più semplice e lo si trova nel “tesoro di consigli per la varietà della tavola” un ricettario arabo tardomedievale. Bastano dieci giorni di preparazione: si parte da pane ammuffito e seccato, poi mescolato al latte di pecora e alle foglie di dragoncello. Viene esposto al sole per dieci giorni e frequentemente mescolato. Più difficile l’interpretazione della salsa rossa con i capperi. Potrebbe essere una ricetta contenuta nel “libro delle ricette” della seconda metà del X secolo. È una salsa a base di succo di melograno, grasso di pollo raccolto durante la cottura allo spiedo, e il Murri un’addensante a base di farina acqua e miele.

I versi ci dicono che i colori parlano agli occhi ma gli odori contemporaneamente all’anima.

Adesso la poesia ci propone due profumi puri:

Così come la polvere del muschio
si ritrova tra le dita del farmacista.
Ora qui il delizioso profumo della
maggiorana si mescola riccamente
Col respiro dei chiodi di garofano

La maggiorana si trovava spontanea nella valle de Tigri, mentre i chiodi di garofano arrivavano al mercato di Baghdad dalla Cina. Il poeta ci propone due ciotole che emanano profumi e “respiri” diversi. Eppure provate a mescolare chiodi di garofano pestati e maggiorana fresca e otterrete un amalgama odorifero molto equilibrato e, all’assaggio, il dolce piccante dei chiodi di garofano sarà compensato dall’amarognolo della maggiorana, lasciandovi per molto tempo in bocca la memoria dei profumi.

mentre la cannella d’ambrato colore
regina assoluta dei condimenti
Come il muschio dall’odore sottile
Tenta il palato addolcendo l’aria

Qui la funzione stimolante dell’odore non parla all’anima, ma direttamente al palato. E quale miglior veicolo c’è della cannella dolce di Cina, unita al sentore di terra del muschio. Ora un protagonista assoluto:

Qui il sale incorona la ciotola
col colore che ricorda muschio e pece

Non stupisca la nota sul colore del sale. A Baghdad si importava un sale nero dall’India e in Persia c’era un sale azzurro. Ma qui vorrei citare una capacità del sale, da me direttamente sperimentata, legata a modificare leggermente gli odori delle pietanze. Davanti a un filetto di carne, al solo odore, intuisco se è giusto di sale per me. Non so se è chimica o memoria, ma credo a questa qualità del sale, è peraltro riconosciuta da molte cuoche casalinghe che ho incontrato.

nella tazza l’aglio pungente saluta
il desiderio ardente degli occhi
e ora stuzzica con gusto l’appetito

Qui la semplice vista dell’aglio, attraverso la memoria e l’odore, parla direttamente alla bocca e al gusto.

Mentre qui le scure olive portano
il giorno nell’ombrosa notte,

Si tratta di un prodotto che arriva a Baghdad dal mediterraneo. Erano forse olive snocciolate e ammaccate, che si gustavano nella Grecia classica e che ancora si fanno nel nostro Cilento. Il poeta parla certo del colore, ma anche del gusto, dei denti che affondano in una pasta scura così come si passa dal giorno alla notte. Ma ora si descrive forse la parte più sostanziosa dell’offerta dei sapori.

sul bordo le fette di pesce salato
alternate alle cipolle, insieme
decorano d’argento il vassoio
Come un corpo argentato che palpita
Del vibrare d’una fiamma interiore

Nella cucina medievale dei Califfi di Baghdad c’erano molte ricette a base di pesce sia di fiume che di mare. Qui credo non ci si riferisca alla diffusa forma di conservazione del pesce sotto sale, ma forse a tranci di pesci cotti nella crosta del sale, e il salto contrasta con il dolce della cipolla. Ma insieme colorano d’argento il bordo, così come l’altro bordo del vassoio ospita fette di rafano circondate da “monete” chiare e scure di carne.

poi intorno ci sono i cerchi di rafano
ben guarniti da bocconi di carne
con l’aceto mescolano il sapore
le fette di carne bianche e scarlatte,
sono come monete in fila d’oro e d’argento.

Penso siano polpette, forse alla scapece, come richiama la presenza dell’aceto. Ma i bocconi di carne e di pesce del bordo sono destinati ad essere intinti nei sapori delle diverse ciotole. Ora lo sguardo della poesia si solleva sul vassoio che si trasforma con i suoi colori in un giardino arabo, come recitano gli ultimi versi.

Ogni lato luccica come una stella che brilla
Su di noi alle prime luci dell’alba
Si può dire che il vassoio sia
Come un giardino fiorito
di volta in volta baciato dalla luna,
dal sole dalla luce, dalla nebbia.

Il Califfo ordinò che si preparasse il vassoio descritto dal poeta. Avrete notato a volte che i veri gaudenti della tavola, davanti a un piatto oggetto del loro desiderio accendano i loro volti di una luce assolutamente visibile. Sono certo che il Califfo Mustakfi avrà avuto in volto un simile voluttuoso “lucore”.

Le Banquet du Calife Mustakfi. Ricostruzione immaginaria di Fabrizio Mangoni.
Le Banquet du Calife Mustakfi. Ricostruzione immaginaria di Fabrizio Mangoni.

In conclusione ho chiesto allo chef Salvatore di Meo di preparare degli assaggi che assomigliano ad un viaggio sensoriale sul cibo. Qui di seguito la nostra discussione.

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Tre ricette per un sogno arabo di Salvatore di Meo






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