La difesa del pianeta passa anche attraverso il futuro degli imballaggi
Sapevate che un pesce può ingerire nell’arco della sua vita un quantitativo di plastica pari al 5% del suo stesso corpo?
Secondo uno studio della rivista Science, la quantità di plastica che fluisce negli oceani del mondo è inesorabilmente destinata a crescere, tanto che gli sforzi delle aziende per ridurne l’utilizzo, serviranno ben poco ad arginare il fenomeno.
Dal 2016 al 2040, l’afflusso annuale di questo materiale negli oceani potrebbe quasi triplicare e anche se le aziende e i governi rispettassero tutti gli impegni presi per gestire i rifiuti di plastica, la proiezione per il 2040 si ridurrebbe solo del 7%, il che vorrebbe dire comunque un aumento di volume di più del doppio rispetto agli attuali livelli.
Le prime prove di detriti plastici negli oceani Atlantico e Pacifico sono emerse negli anni ’70 e il dato più preoccupante è che sono state identificate microplastiche a tutte le profondità, con una concentrazione massima di 15 particelle per m2 anche ad una profondità di 200 metri sotto la superficie marina.
I risultati di studi effettuati in California hanno scioccato i ricercatori; “Ci sono maggiori concentrazioni di plastica in profondità nella baia di Monterey, di quanta ne è stata riportata in superficie in quello che viene riconosciuto come uno dei luoghi più sporchi dell’oceano: il Great Pacific Garbage Patch“, afferma Kyle S. Van Houtan Chief Scientist dell’Acquario di Monterey Bay, dove supervisiona la ricerca e i programmi dedicati allo studio dell’inquinamento da plastica.
Il Pacific Trash Vortex, noto anche come grande chiazza di immondizia del Pacifico o semplicemente isola di plastica, è un enorme accumulo di spazzatura galleggiante composto maggiormente da plastica situato nell’Oceano Pacifico, approssimativamente fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord.
La sua estensione non è nota con precisione: le stime vanno da 700.000 km² fino a più di 10 milioni di km², cioè l’equivalente di un’area più grande della Penisola iberica.
Ma non sono solo le dimensioni geografiche del fenomeno a preoccupare gli esperti, bensì le alte concentrazioni di PCB (policlorobifenili) molto tossici e probabilmente cancerogeni, che possono entrare nella catena alimentare visto che i filamenti plastici sono difficilmente distinguibili dal plancton e quindi ingeriti da organismi marini e successivamente anche da noi esseri umani.
Se è vero quanto emerso da uno studio della Ellen MacArthur Foundation, secondo cui per il 2050 ci sarà più plastica che pesce negli oceani, è altrettanto vero che, l’attenzione verso i consumatori e quindi verso la tutela del pianeta è radicalmente aumentata.
Tutte le più grandi aziende di prodotti a largo consumo hanno già da anni iniziato a sperimentare un packaging intelligente, che sia riciclabile ma soprattutto plastic free.
E’ il caso della catena americana di supermercati Whole Foods, che già nel 2018 aveva iniziato il suo percorso per eliminare gli imballaggi in plastica e sostituirli con materiale compostabile, ma anche della start-up inglese Halo che produce capsule di caffè fatte di bambù e pasta di carta che si dissolvono completamente in 90 giorni senza bisogno di nessun compostaggio industriale.
Ancora in Indonesia la Start-up Evoware ha creato una serie di imballaggi a base di alghe senza additivi chimici che si dissolvono nell’acqua calda e per la cui coltivazione non è necessario ricorrere alla deforestazione di terreni, cosa che spesso capita quando si parla di piante che consento la produzione di materia eco friendly.
Del resto, la “reputation” di un brand oggi dipende molto dalla consapevolezza ambientale e l’attenzione verso confezioni a impatto zero è un tema che incide particolarmente sulle probabilità di acquisto.
I dati che emergono dall’indagine Nomisma dell’Osservatorio Packaging del Largo Consumo confermano che anche in Italia un eco packaging rappresenta il secondo fattore come driver di acquisto principale (36%), in coda solo alla qualità del prodotto (44%).
Intelligente dunque la scelta del noto marchio di alimenti Misura, che per eliminare circa due milioni e mezzo di confezioni di plastica ha deciso di introdurre, grazie alla collaborazione con Novamont, azienda italiana della chimica verde, l’uso di un nuovo materiale di origine vegetale per confezionare gli alimenti.
Entro il 2023, l’azienda allargherà la rivoluzione green a una vasta gamma di prodotti, sostituendo la plastica con la carta certificata FSC derivante da coltivazioni forestali sostenibili e controllate, riducendo il consumo di plastica fino al 79% .
E mentre Ferrarelle, unica azienda italiana ad avere uno stabilimento dedicato al riciclo della plastica, annuncia l’arrivo sugli scaffali della GDO della nuova bottiglia R-Pet 50% fatta per la metà con plastica riciclata direttamente da loro, risparmiando all’ambiente ogni anno 20.000 tonnellate di plastica, Coca Cola chiede più tempo.
Il gigante americano, con una capacità produttiva di tre milioni di tonnellate di plastica all’anno, ha infatti annunciato che entro il 2030 si impegnerà ad utilizzare il 50% di plastica riciclata per gli imballaggi, ma non abbandonerà completamente l’uso del materiale “incriminato” perché “i consumatori preferiscono le bottiglie di plastica , più leggere e richiudibili”.
Per fortuna le cronache riportano ogni giorno novità incoraggianti in ambito plastic free, ultima fra tutte quella annunciata dalla multinazionale operante nel settore delle bevande alcoliche Diageo, che promette entro la primavera 2021una nuova versione di whisky in confezione di carta.
Per il lancio della prima bottiglia di distillato interamente realizzata senza plastica, ma solo cellulosa proveniente da fonti sostenibili, il gruppo ha scelto l’iconico scotch whisky Johnnie Walker.
Al di là di ogni lodevole passo in avanti fatto da piccole e grandi imprese per educarci a una spesa più sostenibile è importante che anche noi consumatori impariamo a fare ogni giorno delle scelte più consapevoli a vantaggio di chi promuove una condizione di vita migliore.
Life in plastic it’s (not) fantastic.